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Libertarie è il nome che ho dato alle primarie di tipo americano stretto, impiegate in Usa per le elezioni presidenziali. Sono così aperte, crude e libere che gli apparati partitici non riescono quasi mai ad addomesticarle, per cui finiscono per essere completamente governate dagli elettori. Per questo gli elettori americani vengono galvanizzati da quelle competizioni e partecipano come dei forsennati.
Per intenderci, in una competizione di quel tipo, anche se il candidato d’apparato si chiama Hillary Clinton, può spuntare un Obama dalle retrovie, e l’apparato non riuscirà a fermarlo neanche se ce la metterà tutta. Questo a sinistra. A destra può spuntare fuori un Trump, che riuscirà a vincere anche se avrà contro il grosso del suo stesso partito. Alla fine si ha una competizione tra candidati fortissimi, spesso outsider, tipo Obama contro Trump.
Se le primarie democratiche del 2016 non fossero state depotenziate dall’apparato del partito democratico americano, avremmo avuto uno scontro Sanders contro Trump, e oggi molti democratici in Usa si chiedono se non sarebbe stato più opportuno. Se le primarie repubblicane del 2008 e del 2012 non fossero state depotenziale dall’apparato del partito repubblicano, Obama non si sarebbe trovato di fronte candidati deboli come John McCain e Mitt Romney.
Le competizioni libere sono sempre quelle che producono i candidati più forti e vincenti. Le competizioni addomesticate dagli apparati producono sempre candidati deboli e perdenti.
Certo, una competizione così cruda e ingovernabile come quella delle Libertarie non è gradita agli apparati partitici, perché li estromette, ma solo così, a sinistra come nell’area di centrodestra, possono emergere candidati fortissimi, come Reagan, Clinton, Trump, Obama e Sanders, che possono battersi fino all’ultimo contro candidati altrettanto forti. Le Libertarie servono a massimizzare le possibilità di vincere, la forza del candidato che emerge come vincitore e a coagulare una coalizione unita e forte attorno a lui.
Studio queste cose da anni e vado in giro a proporre le Libertarie in Italia al centrodestra, al centrosinistra e al M5S. Il primo che le realizza ne trarrà il massimo vantaggio. Interessante la possibilità di realizzare le Libertarie comunali del centrodestra per il candidato sindaco di Pisa alle elezioni amministrative del 2018, ma gli orizzonti delle Libertarie sono molto più ampi.
Le primarie del PD per il candidato premier hanno offerto uno spettacolo appassionante. Ora, però, è il momento di ragionare a freddo.
Perché Matteo Renzi non è riuscito vincere contro un rappresentante del passato che non passa mai, come Bersani, il candidato dell’apparato partitico? Perché ha ricevuto meno voti di Bersani, si dirà. Va bene, ma quante possibilità aveva veramente di vincere? Molte, poche, nessuna?
Nel 2008 Barack Obama, che al momento dell’annuncio della sua candidatura (gennaio 2007) era certamente meno noto negli Usa di quanto lo fosse Renzi in Italia, riuscì, dopo sei mesi di primarie combattute senza esclusione di colpi, a sconfiggere Hillary Clinton, la candidata sostenuta dall’establishment democratico. Solo un caso? Diversi programmi elettorali? Diverso appeal sugli elettori? Le variabili in gioco sono tante, ma qui ci preme sottolineare gli aspetti che davano ad Obama l’effettiva possibilità di vincere, e quelli che l’hanno invece negata a Renzi.
Le primarie del PD sono state primarie “o la va o la spacca”. Si votava lo stesso giorno in tutto il territorio nazionale. La data e le regole sono state comunicate poche settimane prima delle primarie. Le regole sono state elaborate da “organi dirigenti” di un apparato che aveva a capo uno dei candidati in lizza (Bersani). Tutte le regole, a ben guardare, sono state studiate apposta per favorire il candidato dell’apparato (ballottaggio, primarie di coalizione, pre-registrazione, ecc.). Non poteva essere diversamente: come poteva l’apparato di cui Bersani è capo fare regole contro il suo capo? Ciò che mi ha sorpreso è il fatto che Renzi si sia prestato al gioco, si sia fatto usare, sfruttare.
Proviamo ora ad immaginare una situazione completamente diversa.
1. Supponiamo che tutti gli elettori del PD potessero candidarsi, non soltanto i cinque usciti non si sa (ma in realtà si sa) da dove, e che potessero farlo con effettive possibilità di vincere.
2. In particolare, supponiamo che le primarie del PD fossero sequenziali, come quelle che ho proposto qui: una settimana in Molise, la settimana dopo in Abruzzo, quella dopo nelle Marche, e poi in Toscana, poi in Trentino Alto-Adige… in modo da rimuovere le difficoltà oggettive che penalizzano i candidati nuovi, non famosi e non ricchi.
3. Supponiamo poi che le primarie del PD fossero aperte: nessuna pre-registrazione, nessuna dichiarazione di adesione ai valori del PD da firmare al seggio, nessuna somma da pagare per poter votare… in modo da attrarre più elettori possibile.
4. Supponiamo infine che le primarie del PD fossero regolamentate dagli elettori, invece che dagli apparati partitici (gli “organi dirigenti“ del PD), e con regole stabilite non poche settimane prima di tenere le primarie, ma anni fa, poco prima delle ultime elezioni politiche.
Cosa otteniamo? Otteniamo delle primarie americane… Come quelle del 2008 tra Obama e Clinton.
Secondo i miei calcoli, basati sull’affluenza alle primarie democratiche americane del 2008 tra Obama e Clinton, in Italia un centrosinistra (o un centrodestra) che tenesse primarie del tipo che ho appena descritto, per la scelta del suo candidato premier, potrebbe portare alle urne 10-12 milioni di persone. Sì, avete capito bene: non 3, ma 10-12 milioni di persone.
Ora, con le sue regole e modalità, senza sequenzializzazione, con pre-registrazione, facendo pagare il voto, chiedendo la sottoscrizione di una dichiarazione di adesione, convocando le primarie all’ultimo momento e stabilendo le regole poco prima nel chiuso dei suoi apparati, il PD ha portato alle urne intorno a 3 milioni di persone. Un risultato che soltanto l’ignoranza in materia può celebrare come un successo.
Perché ha vinto Bersani? Perché non ha vinto Renzi? Perché non ha vinto una cassiera del supermercato? Occorrerebbe chiederlo ai 7-9 milioni di elettori che avrebbero votato ma in realtà non hanno votato… Quegli elettori erano sufficienti a determinare qualunque risultato. Con primarie sequenziali, cioè con un’opportuna diluizione territoriale invece del sistema “o la va o la spacca”, vi lascio solo immaginare cosa avrebbe potuto succedere e non è successo: avrebbe potuto davvero emergere la volontà degli elettori, invece di quella dell’apparato.
Lo “spettacolo” offerto dal PD ha appassionato tante persone come le appassiona la finale di un torneo calcistico. Tre milioni di persone, invece che 10-12, sono quelle motivate dal tifo.
Non si tratta di democrazia: si tratta di tifo.
Come puoi distinguere la democrazia dal tifo?
Se ti puoi candidare con effettive possibilità di vincere è democrazia, se puoi soltanto decidere da che parte stare è tifo.
Certo, come ho già spiegato qui, se andiamo avanti di questo passo impieghiamo due secoli ad arrivare (tanto quanto ci hanno impiegato gli Usa). Più razionale sarebbe importare il meccanismo americano 2012, il più efficiente ed avanzato che esista sul pianeta, e progredire a partire da quello.
Questo è l’obiettivo per cui si batte youcaucus.com
Questo sito si batte per realizzare in Italia i partiti governati dagli elettori. Non partiti in cui gli elettori partecipano, ma partiti in cui gli elettori governano.
… sono andato alla cena di Natale del PdL, a Firenze, per consegnare ad Alfano la mia proposta di primarie e convention all’americana (eccola qui). Si trattava del sunto di una battaglia che porto avanti dal lontano 2005. Ad Alfano, che per la verità era molto attento ed interessato, ho spiegato che le primarie non vanno fatte come le fa il PD, cioè votando in tutto il territorio nazionale nello stesso giorno, perché così solo i soliti noti hanno vere possibilità di vincere. Gli ho detto che, invece, le primarie vanno fatte all’americana, regione per regione, diluendole nel tempo il più possibile, perché soltanto così possono emergere candidati forti anche relativamente dal nulla (vedi Obama). Inoltre, così facendo si aumenta notevolmente il consenso per il partito.
Quando in aprile Alfano ha annunciato la “novità sconvolgente” che avrebbe cambiato per sempre la politica italiana mi sono illuso che fosse l’accoglimento della mia proposta (vedi qui). Poi qualcuno mi ha dato un pizzicotto e mi sono risvegliato (vedi qui)…
Alla fine qualche tipo di primarie all’americana il PdL voleva pur farle, con tanto di convention, segno che il mio messaggio era arrivato, in qualche modo. Certo non immaginavo di aver terremotato il partito fino a questo punto. In fondo, però, il PdL se l’è cercata, e merita di trovarsi nella situazione attuale…
Il 22 settembre scorso, a Parma, ho fatto la stessa proposta a Grillo (vedi qui), e Beppe ha mostrato di cogliere il messaggio (vedi qui). [mm-hide-text] Purtroppo recentemente il Movimento 5 Stelle è andato in tutt’altra direzione (vedi qui e anche qui)… [/mm-hide-text]
In effetti, è possibile fare progressi nella direzione della democrazia solo se la richiesta proviene dal basso, non sperando di convincere quelli che appartengono alle varie caste di privilegiati. Tuttavia, sembra che gli Italiani, abituati da decenni ad essere spremuti, sfruttati, trattati come sudditi, e sballottati di qua e di là, si accontentino veramente di poco…
In questi giorni sui giornali si leggono notizie molto confuse riguardanti le regole delle primarie che vuol fare il PdL. Le chiamano “all’americana”, ma sarà veramente così? Su questo sito monitoreremo in dettaglio quello che succederà, e vi informeremo se quelle che faranno sono veramente primarie all’americana o qualcos’altro.
Anche il PD, come sappiamo, ha avuto i suoi problemi a stabilire le regole delle sue primarie. Questi scontri interni, con pressioni da una parte e dall’altra per fare regole che favoriscano i propri amici ed escludano o mettano in difficoltà gli amici degli altri, sono travagli inevitabili dei partiti-apparato. Nei veri partiti americani sono gli elettori, tramite la convention, che stabiliscono le regole delle primarie e ne supervisionano la corretta applicazione.
Gli Stati Uniti hanno impiegato due secoli a trovare il metodo giusto. Ad ogni tornata elettorale ogni stato faceva e fa un esperimento diverso, per cui furono fatti 50 esperimenti ogni volta. L’esperienza americana ci insegna cosa fare, cosa non fare, ci spiega come trasformare le primarie in un successo di partecipazione. Ora i dirigenti del PdL credono di poter improvvisare le regole dal nulla, senza sapere nemmeno cosa sono le primarie, senza avere la minima conoscenza o esperienza in materia.
Per dare un’idea della potenzialità delle primarie all’americana, se fatte all’americana, diciamo che le primarie americane stanno alle primarie del PD come la Champions League sta alla Supercoppa Europea. La seconda è una competizione di un giorno, e attira attenzione per un giorno. L’altra è una competizione diluita, che suscita un interesse incredibilmente maggiore. Per fare le primarie all’americana c’è una sola possibilità: importare le regole americane attuali, modello 2012, e applicarle senza discuterle. Qualunque modifica è estremamente rischiosa.
Gli elettori americani partecipano in massa alle primarie perché le primarie danno loro l’effettivo governo del partito. Le regole non escludono nessuno, non rendono difficile candidarsi, non sono fatte per penalizzare gli uni rispetto agli altri, o per respingere gli elettori invece che attrarli, perché le regole sono fatte dagli stessi elettori. Il segreto del successo è questo, in democrazia. Molto semplice.
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Comunque, auguri al PdL. Qualunque cosa facciano, sarà utile come esperienza per la prossima volta. Certo, vorremmo vedere un progresso più veloce di un passetto ogni 5 anni, visto che gli Stati Uniti ci forniscono la formula su un piatto d’argento.
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In questi giorni il PD sta decidendo, con modalità a dire il vero oscure ai più, le regole delle sue primarie. Come più volte spiegato in questo sito (vedi qui, qui e qui), le primarie del PD non sono vere primarie democratiche, perché non soddisfano il criterio della cassiera, cioè non permettono a persone poco conosciute di candidarsi con effettive possibilità di vincere, ma restringono l’insieme dei “papabili” a una piccola casta di personaggi già politicamente affermati, rendendoli di fatto privilegiati rispetto a tutti gli altri elettori del partito.
Le diatribe interne al PD ci mostrano ancora una volta, quasi ce ne fosse bisogno, il ruolo vitale della convention nei partiti americani, dove i delegati eletti con le primarie, semplici elettori tra elettori, governano il partito, in particolare stabiliscono le regole per le elezioni primarie successive, in modo che non siano i contendenti a farsi le regole su misura a ridosso della nuova competizione o a competizione in corso. Questo è proprio quello che sta succedendo ora nel PD.
La convention rimpiazza gli apparati. Nei partiti che non si dotano di questo strumento di governo popolare una casta di privilegiati riesce in breve tempo a impossessarsi del partito a scapito di tutti gli altri, e a conquistare gradualmente posizioni da cui non si schioderà mai più. Per la cronaca, l’assemblea del PD chiamata a votare sulle regole delle primarie non ha nulla a che spartire con le convention dei partiti americani moderni.
Le primarie del PD sono così chiuse che più chiuse non si può. Per prima cosa, all’elettore viene chiesto di pagare per il suo voto, cosa proibita nelle primarie americane. Si tratta di una mini-iscrizione, di fatto. Una specie di iscrizione ricaricabile invece che in abbonamento, una “pay-per-vote“, dove paghi solo quando vuoi partecipare. In secondo luogo, a chi si reca alle urne viene chiesto di sottoscrivere una dichiarazione di adesione ai valori e programmi del partito, o della coalizione. Questo è precisamente ciò che negli Stati Uniti definisce le primarie come primarie chiuse. Come non bastasse, ora vorrebbero istituire un albo degli elettori, una pre-registrazione, e tante altre amenità che soltanto menti veramente “illuminate” possono concepire.
I “dirigenti” del PD spiegano che le precauzioni sono necessarie per evitare che vengano a votare i sabotatori dei partiti avversari. E’ una scusa vecchia come il cucco. Di precauzioni alternative per impedire ai sabotatori di sabotare ce ne sono infinite (tra l’altro, il problema del sabotaggio avversario non si pone nemmeno nelle primarie sequenziali), ma le scelte fatte dai “dirigenti” del PD hanno tutto il sapore si scelte studiate a tavolino per favorire un candidato e svantaggiare un altro candidato.
A Renzi posso solo dire questo: invece che cercare di cambiare il tuo partito, cambia partito. Siccome però di partiti americani in Italia non ce ne sono, creane tu uno a partire dal consenso che hai. Con i metodi dei partiti americani spiegati in questo sito puoi arrivare in pochi anni al 51%.
Stamattina ho consegnato una copia del libro “Il sistema dei partiti governati dagli elettori” a Matteo Renzi, che è venuto a Verona, al Palazzo della Gran Guardia, a tenere il comizio di apertura del suo tour elettorale per le primarie del PD. Purtroppo non ho potuto scambiare parole con Matteo. Gli ho solo detto di dare un’occhiata al libro mentre viaggia in camper da una località all’altra.
Per tutta la durata del comizio mi sono chiesto come avvicinare Renzi e dargli il libro. La mia impressione era che non avesse intenzione di intrattenere contatti con la gente venuta ad ascoltarlo. Infatti è successo proprio questo: più di un’ora di comizio, poi si è dileguato subito. Nessuna domanda dal pubblico, nessun confronto, nessuna discussione. Il bello è che per tutto il comizio ha spiegato come lui, a differenza degli altri, sia vicino alla gente, a contatto con la gente, ascolti la gente, eccetera, non solo a parole – diceva – ma nei fatti.
Alla fine ho risolto il problema seguendo la fila dei giornalisti che salivano al piano superiore della Gran Guardia, dove era in programma una conferenza stampa. Prima che iniziasse la conferenza, approfittando della confusione, ho dato il libro a Matteo che era già seduto al suo posto. Matteo l’ha guardato e mi ha detto che lo leggerà in camper.
E’ stato più difficile dare il libro a Matteo Renzi che a Silvio Berlusconi. Ogni volta che ho voluto, ho potuto intercettare Berlusconi con relativa facilità, dopo i suoi comizi, mentre passeggiava per la strada e incontrava la gente. Ho sempre potuto parlare anche un po’ con lui. A tutt’oggi, a mia conoscenza, Berlusconi è l’unico politico che non guarda gli elettori dall’alto in basso. Nei suoi comizi si esprime sempre con un linguaggio terra terra, che tutti capiscono. Certo, non è bastato questo a fare di lui uno statista, ma in fatto di comunicazione Renzi ha ugualmente qualcosa da imparare da Berlusconi.
Qualche suggerimento per Renzi, e qualche critica, sono d’obbligo. Per prima cosa, se può, faccia in modo che gli elettori non si sentano trattati da spettatori. E’ venuto, ha fatto il suo show, raccolto i suoi applausi, e poi via…, più veloce della luce. Secondo, eviti di essere prolisso. Quello che ha detto in 70 minuti lo poteva dire in 10-15. Il resto del tempo lo avrebbe potuto passare in mezzo alla gente, ascoltare quello che ha da dire e prendere nota. Spendere tante parole per dire che occorre essere concreti e non perdersi in chiacchiere è un controsenso. Terzo: sia più chiaro quando parla. Troppe volte lascia l’argomento in sospeso, o usa termini che conoscono solo gli addetti ai lavori, senza spiegarli. Quarto: citare il recente discorso di Michelle Obama alla convention americana per farci sapere (ci teneva!) che lui ha “avuto la fortuna” (parole sue) di assistervi personalmente qualche giorno prima… cos’è? La nuova frontiera del provincialismo? Il provincialismo alla fiorentina? Ma Renzi ha idea di quante persone si interessano ai discorsi di Michelle Obama, oltre a lui?
Infine, Renzi si dovrebbe liberare dal complesso che affligge da sempre tutti i politici italici (tranne Berlusconi, per la verità), quello che chiamo il complesso del prete. Per qualche misterioso motivo, non tanto misterioso considerato il numero di preti che circolano nel nostro paese, ogni volta che un politico parla si sente in dovere di fare un’omelia, o una lezione per ammaestrare le pecorelle venute a sentirlo. Sono rimasto fino alla fine solo perché speravo di consegnargli il libro, altrimenti un discorso noioso come il suo non me lo sarei mai inflitto.
Detto questo, faccio i miei migliori auguri a Renzi affinché possa vincere le sue primarie. A causa delle riserve appena espresse, Renzi non rappresenta il mio ideale di politico (ma se fa suo il progetto dei partiti governati dagli elettori cambio idea), però è migliore (ma ci vuol poco) dei politici visti finora nella storia della nostra Repubblica.
Il mio prossimo obiettivo è consegnare una copia del libro a Beppe Grillo, che cercherò di intercettare nei prossimi giorni. Come spiegato qui, il Movimento 5 stelle ha un grosso problema di funzionamento interno, e ancora non è chiaro come saranno decise le candidature. Il sistema dei partiti governati dagli elettori è la risposta a quei problemi. Il primo che lo capisce ne trarrà il massimo vantaggio, che si chiami Grillo, Renzi, o Berlusconi.
Venerdì scorso l’Onorevole Stracquadanio è venuto a Pisa per partecipare ad un incontro organizzato dai Liberali nel PdL. Gli amici che ho nel PdL mi hanno chiesto di andare a fare un intervento per spiegare la mia proposta di primarie sequenziali correlate alla convention, cosa che ero molto riluttante a fare, perché sono sempre più restio a fare proposte che potrebbero tornare utili ai partiti esistenti. Non credo che meritino aiuti, a meno che non si tratti di aiuti a tirare le cuoia il più in fretta possibile. Comunque, di solito non c’è alcun rischio che gli interlocutori del PdL capiscano di cosa si sta parlando, quindi si può parlare loro tranquillamente, e rimanere ragionevolmente sicuri che continuino a dare un calcio alle poche occasioni che rimangono loro per sopravvivere. Siccome poi la mia proposta comporterebbe ai partiti esistenti di chiudere i loro apparati per sempre, quindi di fare praticamente harakiri, è assai probabile che la ignorino e proseguano indisturbati nella loro salutare (per noi) corsa verso il baratro.
Comunque sono andato all’incontro, poi una cosa tira l’altra, e alla fine, di fronte all’insistenza dei miei amici, ho raccontato in poche parole la mia proposta all’Onorevole. Dopo un po’ di obiezioni iniziali, Stracquadanio ha mostrato, con una certa mia sorpresa, di aver afferrato bene il messaggio, e mi ha chiesto di mandargli i documenti che avevo con le proposte dettagliate. Dopo averglieli mandati mi sono reso conto che quei documenti non stanno ancora su questo sito, mentre dovrebbero starci perché potrebbero essere utili a tutti. Pertanto ho deciso di scrivere questo post ed inserirli qui. Casomai ci fossero sviluppi vi terrò informato.
Si tratta di
1. proposta di primarie sequenziali e convention per il candidato premier (versione ritoccata di quella che ho consegnato ad Alfano il 18 dicembre scorso)
2. mozione approvata all’unanimità al congresso provinciale del PdL di Pisa, tenutosi recentemente, per adottare il mio sistema alle elezioni comunali di Pisa dell’anno prossimo
3. pamphlet esplicativo che accompagnava la mozione, con spiegazione di cosa sono le primarie americane e come dovrebbero funzionare a Pisa nel 2013
Ho partecipato a una riunione del Movimento 5 Stelle qualche settimana fa e ho scoperto che il movimento non si è ancora dato regole innovative per far scegliere le candidature e scrivere il programma elettorale agli elettori. A questo proposito, il “non statuto” consultabile qui, dice soltanto, all’articolo 7,
“Le regole relative al procedimento di candidatura e designazione a consultazioni elettorali nazionali o locali potranno essere meglio determinate in funzione della tipologia di consultazione ed in ragione dell’esperienza che verrà maturata nel tempo.“
Alla riunione cui ho partecipato ho esposto la mia proposta, ispirata ai partiti americani, di primarie sequenziali correlate con la convention. Credo di aver interessato un buon numero di presenti con le mie idee, che sono poi quelle esposte in questo sito e nel libro segnalato qui. In effetti, il Movimento 5 Stelle sembra in grado di recepire il messaggio, attuarlo in tempi rapidi e sfruttarlo al meglio. Rispetto ai partiti tradizionali, il M5S è già avanti. Per esempio, la mia proposta richiederebbe di eliminare gli apparati partitici, ma il M5S non ha alcun apparato. Inoltre, richiede di rinunciare ai fondi pubblici, come ormai tutti i candidati fanno negli Stati Uniti, ma il M5S non ha mai preso un soldo di fondi pubblici. Richiede di demandare tutte le decisioni agli elettori, che è ciò che fa anche il M5S. E allora, a cosa potrebbe servire la mia proposta? A dare al movimento un sistema di regole semplici che gli garantiscano di crescere su queste basi, senza mai diventare come gli altri e senza mai dover fare compromessi con gli altri.
Il metodo per cambiare completamente la politica costa poco o nulla e richiede poche tornate elettorali. Si tratta di sostituire i partiti esistenti con due partiti aperti, governati dagli elettori, che si divideranno il 97% degli elettori circa, sul modello dei partiti americani.
Come sapete, chi è al potere oggi usa il potere che ha per impedire agli altri di accedervi. Per scardinare questo sistema perverso è necessario un sistema che spiazzi i partiti esistenti e li renda impotenti.
I due partiti nuovi devono essere completamente aperti, perché essendo aperti, sbaraglieranno facilmente i partiti chiusi, appena entreranno in competizione contro di loro. Aperti vuol dire, tra le altre cose, che non devono avere valori o idee o programmi a priori. E poi che non devono avere alcun apparato e devono consentire a chiunque di candidarsi alle cariche, candidarsi a delegato alla convention, e votare nelle primarie. Un partito che fissa i suoi obiettivi a priori restringe anche il campo di interesse che può suscitare e quindi anche riduce il numero d voti che può prendere. Qualunque regola, programma o valore sarà stabilito dagli elettori stessi tramite la convention, a cui partecipano delegati eletti con le primarie sequenziali. Qualunque decisione o indicazione della convention vale solo fino alla convention successiva, quando si riazzera tutto.
Le primarie devono essere sequenziali, altrimenti sono una burla. Non è praticamente o umanamente possibile che un candidato nuovo vinca le primarie per il premier se quelle primarie sono tenute nello stesso giorno in tutta Italia. Ma un’impresa del genere diventa possibile se si comincia dal Molise, una settimana dopo si va in Abruzzo, poi nelle Marche, ecc., diluendo il compito e quindi rendendolo abbordabile a chiunque. Come negli Usa si parte dall’Iowa, poi si va nel New Hampshire, nella Carolina del sud, eccetera. Similmente, occorre sequenzializzare le primarie per i sindaci, i governatori di regione, e quando avremo finalmente un sistema uninominale, anche per i deputati e senatori.
I partiti di cui parlo non hanno apparati, sono pure e semplici macchine per produrre candidati e programmi elettorali decisi dagli elettori. Primarie sequenziali correlate alla convention, primarie sequenziali correlate alla convention, primarie sequenziali correlate alla convention, e si azzera tutto ogni volta. Solo e semplici macchine per fare emergere la volontà popolare. Per questo vinceranno facile contro i partiti chiusi attuali e non lasceranno loro alcuna possibilità di cavarsela.
Forse a Pisa realizzeremo questo progetto l’anno prossimo per le elezioni comunali con alcuni fuoriusciti del PdL. Però sto cercando di sensibilizzare più persone possibile, in modo che aumentino le possibilità di riuscita. Chiunque fosse disposto ad imboccare questa strada avrà il mio appoggio e la mia collaborazione, qualunque siano le sue idee politiche, a qualunque area appartenga (io non sono iscritto ad alcun partito). Il M5S è l’interlocutore ideale. Nelle prossime settimane cercherò di mettermi in contatto con Beppe Grillo per spiegargli la proposta. Vi terrò informati se ci sono novità.
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27 Maggio 2012 ___ Aggiornamento
Come promesso, vi tengo informati sulle novità. Sono stato ad un’altra riunione del M5S e ne ho tratto alcune conclusioni. Allo stato attuale, il M5S è ancora molto indietro sul tema del coinvolgimento trasparente degli elettori. Sembra muoversi in modo casuale e scoordinato, per nulla pronto ad affrontare la sfida. Molti militanti già scalpitano perché venga loro riconosciuto il diritto-privilegio di contare più degli altri elettori al momento di decidere le candidature, in base all’impegno profuso per il movimento e al loro attivismo. Non è chiaro se e come gli elettori saranno effettivamente consultati per selezionare i candidati. Si parla di primarie online, ma le candidature alle primarie saranno probabilmente chiuse, ristrette ai famosi “militanti più uguali degli altri elettori”. E’ probabile che da qui a poco, chi si avvicinerà al movimento sarà messo a fare la fila dietro coloro “che si sono impegnati già da tempo”. Accanto a molte persone aperte all’innovazione, ve ne sono altrettante che ragionano come i militanti dei vecchi partiti e accampano qualunque scusa per non discutere di proposte a loro sgradite. Parecchi sono coloro che chiedono procedure per limitare la partecipazione e le candidature a “persone fidate” che stanno nel movimento già da tempo. Vedono in qualunque nuovo arrivato un opportunista e una minaccia, perché potrebbe sottrarre loro il posticino che credono di essersi ritagliati. Insomma, ho ritrovato tutti i difetti dei partiti chiusi. Se queste persone avranno peso determinante, come temo, inevitabilmente, il M5S diventerà il classico partito “come gli altri”.
Non sono ancora riuscito a contattare Beppe Grillo, ma a questo punto non so se valga la pena farlo. Soprattutto, non ho voglia di farlo. Mancano i segnali minimi per sperare che il Movimento 5 Stelle rappresenti un vero cambiamento.