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Il “problema della democrazia” è essenzialmente un problema di fisica. Consultare 50 milioni di persone per fare emergere la volontà popolare richiede tempi e strumenti adatti. Non è qualcosa che si improvvisa. Per essere concreti, poniamoci la seguente domanda: basta “un’infarinatura di elezioni di tipo qualsiasi ogni 4-5 anni” per definire un paese, come l’Italia, una democrazia? Assolutamente no. Ci possiamo girare attorno quanto vogliamo, ma l’Italia, e così gli altri paesi europei, non sono democrazie. L’infarinatura di elezioni di tipo qualsiasi ogni 4-5 anni viene concessa al popolo soltanto per poter dire di avergliela concessa, e tenere buona la gente. Il popolo si convince che i suoi rappresentanti li ha davvero scelti lui e che quindi non ci sia niente da fare. Ma quei rappresentanti, in realtà, non li ha affatto scelti il popolo.

La fisica può essere applicata in tantissimi campi, perché offre una preparazione mentale molto apprezzata per la sua versatilità. Per esempio, l’econofisica, la fisica applicata all’economia, permette, tra le tante cose, di stanare gli speculatori che drogano il mercato. Il tutto analizzando i dati di borsa (ordini di vendita e di acquisto) e confrontandoli colle leggi della statistica. Con metodi simili è possibile stanare i sondaggi… creativi. Analizzando i dati forniti dai sondaggisti italiani di settimana in settimana, si scopre facilmente che non obbediscono alle leggi della statistica. Negli Usa, i dati forniti dai sondaggisti sono invece perfettamente in accordo colle leggi della statistica. Per questo i loro sondaggi sono più affidabili, anche se non sempre precisi. Infatti, l’errore intrinseco di un sondaggio è comunque molto grande, e fare sondaggi precisi costerebbe cifre proibitive. Se però oltre all’errore intrinseco dobbiamo tenere conto anche della creatività del sondaggista che ci ha messo le mani, tanto vale affidarsi agli oroscopi.

La “demofisica”, cioè la scienza fisica della democrazia, si prefigge di identificare il sistema più efficiente e pratico per fare emergere fedelmente la volontà popolare (per esempio nella scelta dei candidati, nella scrittura di programmi elettorali, nelle decisioni sulle regole che governano un partito o movimento politico), analizzando i tempi minimi, gli strumenti necessari, i costi. In sostanza, la demofisica cerca la soluzione al problema della democrazia, la formula della democrazia.

YouCaucus sostiene di avere trovato questa formula, fondata sul sistema “PSC” delle primarie sequenziali in crescendo con convention, e lavora per divulgarla e applicarla. In questo articolo la applicheremo allo scenario italiano presente, ipotizzando la creazione di due nuovi movimenti, e proponendo idee e strategie con le quali potrebbero davvero riuscire ad abbattere il sistema dei partiti attuali.

In questo momento, nel parlamento italiano ci sono tre poli, cioè tre partiti o movimenti maggiori, che hanno più o meno la stessa forza. Ebbene, occorre sapere che il “tripolo” è “contro natura”, cioè in natura non esiste. Ciò vuol dire che è una configurazione talmente instabile che dovrà precipitare più prima che poi verso la configurazione stabile, che è il dipolo. Chiaramente, il Movimento 5 Stelle è il più debole dei tre, perché è nuovo, perché dichiara guerra agli altri due, e perché gli altri due si possono alleare per farlo fuori. Quanto potrà resistere? Vediamolo.

tripolo

E’ impossibile che il Movimento 5 Stelle, da solo, abbatta entrambi gli avversari, perché il risultato finale sarebbe monopartitico, un monopolo. Ipotetiche divisioni successive non cambiano la conclusione di questo ragionamento, perché il problema stiamo affrontando è come arrivare all’abbattimento dei partiti/apparato, e il tripolo non potrà mai collassare in un monopolo. Quindi il progetto del Movimento 5 Stelle, così come formulato oggi, cioè il progetto di spazzare via entrambi i poli avversari, è irrealizzabile.

Il tripolo dovrà necessariamente collassare in un dipolo. Realisticamente, è possibile che il risultato finale del processo di collasso sia il dipolo PD-M5S? No, nonostante la debolezza attuale del centrodestra, perché il M5S non è di centrodestra. È possibile che il risultato finale sia M5S-exPdl? Non adesso, perché il PD è troppo forte.

Il risultato finale sarà inevitabilmente PD-exPdl. Lo si capisce un po’ anche dai risultati delle elezioni europee: nonostante tutti gli scandali, il centrodestra è riuscito a sopravvivere, e ora tornerà alla carica. Se gli elettori di centrodestra avessero avuto un’alternativa, il centrodestra di Berlusconi sarebbe collassato al 7-10%, per poi sparire nel nulla. Ma questo avrebbe portato al dipolo PD-M5S, che non è nelle cose. Dobbiamo arrenderci all’impossibilità di abbattere entrambi i poli PD e exPdL?

Torniamo alla fisica. La configurazione più stabile dopo quella di dipolo è quella di quadrupolo. Quella che sto per proporre è una rivoluzione totale della politica, e non mi aspetto che quello che dico sia apprezzato immediatamente, anche perché capisco che non è facile cambiare. Il sistema politico per cui si batte YouCaucus è “open source”. Non è di mio interesse spingere qualcuno a fare qualcosa che non vuol fare, e non ho nulla da guadagnare se lo fa. Ciò che chiedo ai lettori è di prestare attenione a quello che propongo, e di guardarlo con atteggiamento scientifico.

Come più volte sostenuto su questo sito, è cruciale per chiunque voglia abbattere un sistema di partiti, crearne due, di partiti. Non uno, ma due. Con un solo partito, o movimento, non si riuscirà mai a vincere contro il sistema, neanche quando, con l’aiuto della fortuna, potrà capitare di vincere le elezioni. Ma se invece si creano due movimenti, un Movimento Democratico e un Movimento Repubblicano, le cose cambiano: si realizza il quadrupolo. Due nuove forze politiche vengono contrapposte alle due vecchie, per “marcarle a uomo”, fare “uno contro uno”. Ciascuna si occupa di abbattere la forza vecchia corrispondente, prosciugandone l’elettorato. Se i due movimenti funzionano in base ai principi enunciati da YouCaucus, possono svuotare completamente i partiti del sistema nell’arco di pochi anni, arrivando ad un consenso pari al 90% complessivo dell’elettorato che si reca a votare.

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In questo modo il sistema andrà in tilt, perché non saprà più come comportarsi di fronte alle due nuove falangi. Esse saranno le ganasce dello schiaccianoci che stritolerà i vecchi partiti. Ciascuno dei due movimenti marcherà a uomo l’avversario di cui vuole prosciugare i voti, PD o exPdl. I vecchi partiti non avranno scampo, né un attimo di respiro. Tutti gli elettori sapranno chi votare, senza più ambiguità. Chi è conservatore voterà il Movimento Repubblicano, chi è progressista voterà il Movimento Democratico. Seguendo le indicazioni di YouCaucus i voti dell’attuale Movimento 5 Stelle spariranno molto presto a beneficio dei movimenti nuovi. I voti di PD ed ex PdL si prosciugheranno poco dopo.

Com’è possibile fare queste affermazioni con una tale sicurezza? E’ possibile perché un insieme di dati sperimentali ci consentono di farle. Uno scienziato prende i dati sperimentali, li analizza, identifica la teoria che li decodifica, e poi si rivolge agli sperimentatori per proporre nuovi esperimenti, nuove verifiche. Se i dati di partenza sono in numero sufficiente, le predizioni della teoria sono praticamente certe. I dati da cui è partito lo studio di YouCaucus sono abbondanti quanto basta, perché provengono da duecento anni di storia americana, e da circa quindici anni di storia italiana.

Possiamo confidare con assoluta certezza nello scenario delineato sopra perché quanto prevediamo è già successo, in ben due casi.

Primo: è successo negli Stati Uniti quaranta anni fa. Occorre sapere che prima di quella data i partiti americani erano dominati da apparati più litigiosi dei nostri, fazioni contrapposte, capi partito che manovravano come pedine i delegati alle convention e ribaltavano la volontà popolare come pareva loro. Nel 1968 Chicago fu messa a ferro e fuoco dai dimostranti mentre si svolgeva la convention democratica. Gli elettori volevano farla finita colla guerra in Vietnam, l’apparato del loro partito voleva invece continuarla. Il partito democratico fu costretto ad accettare delle riforme interne, che inaspettatamente provocarono il crollo di tutti gli apparati. Da allora i delegati divennero semplici elettori tra elettori, mandati dagli elettori a governare il partito e supervisionarne il funzionamento. Da allora emersero gli Obama dal nulla, e furono messi in grado di battere i candidati di quel che restava dei vecchi apparati (vedi la sconfitta subita da Hillary Clinton).

Secondo: sono già riuscito a fare qualcosa di simile in Italia.

In passato, dal 2004 al 2007, ebbi modo di conoscere e studiare il funzionamento dei partiti italiani dall’interno. Mi accorsi che qualcosa non andava e cominciai a chiedermi come avrebbe dovuto essere fatto un partito per funzionare veramente. Studiai il sistema americano e raccolsi i miei risultati nella prima versione del mio libro, che è appunto del 2007. Dopo aver elaborato quelle teorie ebbi modo di conoscere i vari leader del centrodestra italiano. Mi illusi che i leader fossero disposti ad ascoltarmi e a rivoluzionare il loro partito seguendo le mie linee guida (ero giovane e ottimista…).

Nel dicembre 2011 alcuni vecchi amici mi chiesero di andare con loro a una cena elettorale del PdL a Firenze, e così ne approfittai per consegnare il libro e la mia proposta ad Alfano. Gli spiegai i punti chiave di persona, insistendo in particolare sul fatto che le primarie non vanno fatte come le fa il PD, perché se si vota in tutta Italia nello stesso giorno solo chi è già ricco o famoso ha effettive possibilità di vincere. Occorre diluire la competizione temporalmente e territorialmente nell’arco di mesi, in modo che anche una cassiera del supermercato abbia effettive possibilità di vincere.

Da allora non rividi più Alfano, ma veicolai le stesse idee tramite altre personalità politiche, tra cui l’Onorevole Stracquadanio e Sedizione Liberale. Prima delle elezioni politiche del 2013 una parte del PdL, capeggiata proprio da Alfano, avanzò una proposta ispirata alla mia, e si battè per fare primarie all’americana con convention. Per la prima volta i giornali parlavano di “primarie sequenziali con convention”. Ma un’altra parte del PdL, capeggiata da Berlusconi, si oppose con forza. La lotta intestina fu senza esclusione di colpi, e vide vittoriosa la fazione guidata da Berlusconi. Le due fazioni siglarono la pace in vicinanza delle elezioni politiche. Tuttavia, poco dopo le elezioni, l’equilibrio cedette, e in men che non si dica ciascuno andò per la sua strada. Mi piace pensare che la lacerazione causata dalla diatriba interna sulle primarie americane suggerite da me abbia contribuito, e magari non poco, alla fine del PdL. Questo illustra il potenziale tsunamico e distruttivo di questo sistema di idee.

No mi stancherò mai di ripeterlo: per arrivare al 90% dei consensi (traguardo raggiungibile) e abbattere i partiti attuali, è assolutamente necessario creare DUE movimenti, non uno. Inoltre, devono essere fatti in modo da garantire il prosciugamento totale dei voti dei partiti avversari.

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Come si fa a garantire questa evoluzione? Occorre garantirsi il voto degli elettori, essere sicuri che preferiranno votare uno dei due movimenti nuovi piuttosto che uno dei due vecchi partiti. E come si fa ad ottenere questo? Come si fa a sapere quali sono i punti programmatici più graditi agli elettori? Come si fa a sapere quali sono i candidati che godono del loro maggior favore? La risposta è sorprendentemente semplice. Basta chiederlo a loro, agli elettori. Basta farselo dire da loro, dare loro la possibilità di candidarsi, farsi eleggere e governare il partito o movimento in tutto e per tutto.

Queste risposte ovvie nascondono un problema. Si dirà, infatti: nell’attuale Movimento 5 Stelle sono gli elettori che scelgono i candidati, con le primarie online. Sono gli elettori che fanno il programma elettorale, sempre votando online, ecc. E allora, perché il Movimento 5 Stelle non prosciuga i voti degli altri e vola verso il 51%?

E qui torniamo alla fisica. Consultare centomila persone, o decine di milioni, non è così semplice. Qualunque consultazione deve essere diluita temporalmente e territorialmente nell’arco di alcuni mesi, in modo che gli elettori abbiano il tempo di fare tutto quello che devono fare per governare veramente il movimento, o partito: controllare l’applicazione delle regole, modificare le regole per il futuro, scrivere il programma elettorale, candidarsi, candidare altri, fare campagna elettorale, vagliare i candidati, riflettere sulle proprie decisioni, rielaborarle, votare i candidati, vagliarli una seconda volta, votarli una seconda volta, riflettere di nuovo, rielaborare ancora, votare ancora, e poi ancora, e poi ancora, e poi ancora…

Impossibile, si dirà. E invece è possibile, e anche molto semplice da fare. La soluzione esiste, è quella per cui si batte YouCaucus, ma purtroppo, in Europa non è ancora applicata. La scienza che si occupa di questo problema è la metapolitica.

Per capire di cosa parlo, pensiamo alle primarie che il PD fa per eleggere il suo segretario. Immaginiamo una cassiera dell’Esselunga che ritiene di avere le capacità di governare il paese e, forte di quelle ma col suo semplice stipendio di cassiera dell’Esselunga si candida alle primarie nazionali del PD. Domanda: quante effettive possibilità di vincere avrà quella cassiera dell’Esselunga? Risposta: zero. Un sistema che non permette alla cassiera dell’Esselunga di candidarsi con effettive possibilità di vincere non è un sistema democratico, ma una ben orchestrata presa in giro. Le primarie in cui si vota in tutto il territorio nazionale in un giorno solo chiedono ai candidati di saltare in un sol colpo da valle fino alla cima della montagna. Di fatto, dà effettive possibilità di vittoria soltanto a quei due tre personaggi che stanno già in cima, cioè sono già famosi (politicanti che frequentano abitualmente salotti televisivi, giornalisti e personaggi di spettacolo) o sono straricchi.

Immaginiamo ora che invece di chiedere il miracolo, cioè il salto acrobatico da valle alla cima del monte in un sol colpo, si venga incontro ai candidati predisponendo un percorso diluito e graduale, una scala che collega la valle alla cima girando intorno alla montagna e riducendo al massimo la pendenza di ogni gradino. Chi è già in cima conserverà ancora un vantaggio, certo, ma mica poi tanto…

Per essere concreti, consideriamo le primarie per la scelta del candidato premier. Invece che votare in tutta Italia nello stesso momento, si stabilisce di cominciare dal Molise, l’Iowa italiano. La cassiera sconosciuta può candidarsi per tempo alle primarie del Molise, farsi qualche viaggio per la regione e tenere qualche comizio, senza rischiare di andare in rovina. Viene il momento delle primarie del Molise. Della cassiera sconosciuta non ha ancora parlato nessuno, tranne gli elettori che sono andati ai suoi comizi. La cassiera non ha nessuna possibilità di vincere le primarie del Molise, sia ben chiaro. Tuttavia, basta che emerga dal fondo dei numerosi candidati della domenica per farsi notare e continuare a sperare. Una settimana dopo si vota, supponiamo, in Abruzzo. Nel frattempo qualche giornale locale intervista la candidata, più che altro per curiosità. La quale, se ha effettivamente le capacità di cui parlavamo, guadagna punti. Non riesce a vincere le primarie dell’Abruzzo, certo, ma magari si piazza sesta, scavalcando qualche riccone o personaggio famoso. A questo punto, molti cominciano a chiedersi: chi è questa qui? Non sarà mica la rivelazione di queste elezioni, per caso? Le richieste di interviste arrivano più numerose, e anche le donazioni. Una settimana dopo si vota nelle Marche. La cassiera si classifica terza: si diffonde i panico tra tutti i candidati di apparato. Cominciano a sudare freddo. In tv non si parla altro che di lei. E infatti, una settimana dopo vince le primarie dell’Umbria. A quel punto non la ferma più nessunno. Tutte le altre primarie saranno plebisciti per lei.

La diluizione permette agli elettori di rielaborare le loro decisioni. Chi vota in Abruzzo conosce già il risultato delle consultazioni tenute in Molise e se ne serve per fare uno screening ulteriore dei candidati. Chi vota nelle Marche conosce già i risultati di chi ha votato in Molise e in Abruzzo, e può raffinare le sue valutazioni ulteriormente. Con questo percorso il popolo può “ragionare”. Non c’è nessuna possibilità che emergano malintenzionati con questo sistema, che è anche un antidoto contro infiltrazioni mafiose e di chiunque voglia pilotare i risultati a discapito della volontà popolare.

Infine, qualunque divisione interna al movimento sarà sanata dalla serie impressionante di vittorie inanellate dal candidato prescelto nella seconda parte della sequenza di consultazioni. Per questo l’ho chiamato “sistema della primarie sequenziali in crescendo con convention”.

Riepiloghiamo. Le primarie sequenziali per la scelta del candidato premier sono organizzate chiamando gli elettori di ogni regione a votare in una data diversa, a una settimana di distanza gli uni dagli altri, cominciando dagli elettori delle regioni più piccole. Nell’esempio appena fatto le primarie per la scelta del candidato premier sono sequenzializzate su base regionale. Il principio che sta alla base di questo sistema politico è semplice semplice: se un sistema politico/partitico permette alla cassiera dell’Esselunga di candidarsi con effettive possibilità di vincere, posto che abbia le qualità, le idee e i programmi graditi agli elettori, allora quel sistema politico è una democrazia. In tutti gli altri casi è da considerarsi un’abile fregatura. Per questo motivo l’Italia NON è una democrazia. Per questo motivo non sono democrazie la Germania, la Francia, il Regno Unito, la Spagna, eccetera.

Dare tutto il potere agli elettori significa anche altre cose:

Il movimento o partito non ha apparati, segretari, portavoce, coordinatori, organi dirigenti, capi, cariche interne e via discorrendo. Nessuno è più uguale degli altri.

Il movimento o partito è fatto di elettori e non di iscritti. Chiunque può votare alle elezioni primarie del Movimento Repubblicano o del Movimento Democratico (ma non a quelle di tutti e due contemporaneamente). Essendo le consultazioni diluite nel tempo, il rischio di infiltrazioni e sabotaggi (già studiato ampiamente negli Usa) è completamente sotto controllo.

Gli elettori scelgono fra loro i candidati alle cariche pubbliche, con modalità come quelle descritte sopra che facciano veramente emergere la volontà popolare. Nessun candidato scelto ricopre ruoli particolari nel movimento o partito, ma rimane un suo semplice elettore al suo cospetto. Gli elettori scelgono fra loro anche delegati da mandare alla convention per alcuni giorni, dove governano il partito.

Il partito o movimento è inizialmente neutro. Qualunque idea, regola interna, proposta programmatica o candidato è decisa dagli elettori con le modalità descritte, e solo da loro.

Non è tutto. Le consultazioni diluite nel tempo sono macchine formidabili per massimizzare voti, consenso, risonanza mediatica e raccolta di donazioni. Per mesi sui giornali non si farà altro che parlare della competizione interna ai due movimenti. Emergeranno gli Obama a cui oggi nessuno dà alcuna possibilità di emergere. Cresceranno, faranno esperienza durante i mesi di primarie e arriveranno al giorno delle elezioni trascinati dall’onda del successo ottenuto in quella competizione. I vecchi partiti saranno tramortiti e, presi in contropiede, soccomberanno.

I due movimenti non vorranno allearsi con i vecchi partiti, ma potranno allearsi tra loro realizzando larghe intese, se ciò servirà ad abbattere il sistema. Il risultato finale, l’abbattimento del sistema attuale di partiti/apparato è però garantito.

In questi giorni sui giornali si leggono notizie molto confuse riguardanti le regole delle primarie che vuol fare il PdL. Le chiamano “all’americana”, ma sarà veramente così? Su questo sito monitoreremo in dettaglio quello che succederà, e vi informeremo se quelle che faranno sono veramente primarie all’americana o qualcos’altro.

Anche il PD, come sappiamo, ha avuto i suoi problemi a stabilire le regole delle sue primarie. Questi scontri interni, con pressioni da una parte e dall’altra per fare regole che favoriscano i propri amici ed escludano o mettano in difficoltà gli amici degli altri, sono travagli inevitabili dei partiti-apparato. Nei veri partiti americani sono gli elettori, tramite la convention, che stabiliscono le regole delle primarie e ne supervisionano la corretta applicazione.

Gli Stati Uniti hanno impiegato due secoli a trovare il metodo giusto. Ad ogni tornata elettorale ogni stato faceva e fa un esperimento diverso, per cui furono fatti 50 esperimenti ogni volta. L’esperienza americana ci insegna cosa fare, cosa non fare, ci spiega come trasformare le primarie in un successo di partecipazione. Ora i dirigenti del PdL credono di poter improvvisare le regole dal nulla, senza sapere nemmeno cosa sono le primarie, senza avere la minima conoscenza o esperienza in materia.

Per dare un’idea della potenzialità delle primarie all’americana, se fatte all’americana, diciamo che le primarie americane stanno alle primarie del PD come la Champions League sta alla Supercoppa Europea. La seconda è una competizione di un giorno, e attira attenzione per un giorno. L’altra è una competizione diluita, che suscita un interesse incredibilmente maggiore. Per fare le primarie all’americana c’è una sola possibilità: importare le regole americane attuali, modello 2012, e applicarle senza discuterle. Qualunque modifica è estremamente rischiosa.

Gli elettori americani partecipano in massa alle primarie perché le primarie danno loro l’effettivo governo del partito. Le regole non escludono nessuno, non rendono difficile candidarsi, non sono fatte per penalizzare gli uni rispetto agli altri, o per respingere gli elettori invece che attrarli, perché le regole sono fatte dagli stessi elettori. Il segreto del successo è questo, in democrazia. Molto semplice.

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Comunque, auguri al PdL. Qualunque cosa facciano, sarà utile come esperienza per la prossima volta. Certo, vorremmo vedere un progresso più veloce di un passetto ogni 5 anni, visto che gli Stati Uniti ci forniscono la formula su un piatto d’argento.
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I dibattiti televisivi si sono conclusi e le elezioni presidenziali americane sono alle porte. Nel complesso, Romney e Ryan ne escono abbastanza bene.

A detta dei sondaggi, quella inflitta da Romney ad Obama nel primo dibattito è stata la più sonora sconfitta della storia. Cioè non si era mai visto uno stacco tanto grande tra le percentuali di telespettatori che attribuivano la vittoria ai due candidati. Nei dibattiti successivi Obama e Biden sono passati alla controffensiva, ma hanno giocato troppo spesso la carta dell’aggressività accompagnata da toni arroganti ed irrisori. Quella strategia è sicuramente servita a galvanizzare la base dell’elettorato democratico. Tuttavia, in generale i dibattiti televisivi hanno tutt’altro scopo, cioè quello di attrarre gli indecisi dalla propria parte. Romney se l’è cavata bene, dando un’immagine presidenziale e affidabile di sè. Per certi versi nell’ultimo dibattito, che verteva sulla politica estera, sembrava che lo sfidante fosse Obama e il presidente in carica fosse Romney.

Possiamo prendere spunto da questo aspetto delle elezioni presidenziali americane per sviluppare ulteriormente un discorso più ampio affrontato in questo sito, cioè che una democrazia rappresentativa è tale se e soltanto se soddisfa il criterio della cassiera: qualunque cittadino eleggibile deve potersi candidare a qualunque carica pubblica in qualunque tornata elettorale con effettive possibilità di vincere. Sappiamo che, tra le altre cose, per ottenere questo risultato occorre organizzare primarie sequenziali in crescendo, correlate con la convention, affinché il vantaggio di chi è già noto o ricco rimanga appunto un vantaggio e non diventi privilegio.

Ora possiamo affermare che in quest’ottica si rivelano non solo utili, ma addirittura cruciali, anche i dibattiti televisivi. Li chiamiamo così anche se ovviamente il fatto che siano fruibili dalla televisione, o come avviene oggi anche da internet o con altri mezzi di comunicazione, conta poco. Ciò che è importante, e che si è potuto chiaramente apprezzare grazie ai dibattiti televisivi americani relativi alle elezioni presidenziali, è che questi dibattiti garantiscono che il vantaggio di cui gode un presidente uscente o chi è favorito dai sondaggi rimanga appunto un vantaggio e non si traduca in un privilegio.

Spieghiamo meglio cosa è successo. Per mesi Obama ha speso centinaia di milioni di dollari in messaggi pubblicitari che avevano come unico scopo ridicolizzare il suo avversario, dipingerlo come un riccone sconnesso dal mondo, che non si cura dei poveri e che vuole riportare le lancette dell’orologio indietro di trent’anni. La cosa più triste è che era brillantemente riuscito nel suo scopo. Chi non seguiva la politica da vicino, cioè la maggior parte degli elettori, si era fatta questa opinione di Romney. Il primo dibattito televisivo è servito a spazzarla via d’un colpo, i dibattiti successivi a rafforzare l’immagine presidenziale che Romney ha voluto dare di sè. Non c’è dubbio che senza i dibattiti televisivi molte massaie crederebbero ancora che Romney è un rozzo e un bigotto. Ora invece, come candidamente ammesso da un’ospite di un famoso programma televisivo indirizzato al pubblico femminile (“The view”), l’opinione prevalente è completamente ribaltata rispetto a quella pre-dibattiti, e Romney è visto come un candidato votabile con tranquillità da chiunque ed eventualmente un presidente che può essere accettato da chiunque.

Per questo motivo, anche in Italia i dibattiti tra i candidati alla presidenza del consiglio dovrebbero essere obbligatori, con penalità per chi vi si sottrae, come l’imposizione o la riduzione consistente (diciamo il 50%) del tetto di spesa per la campagna elettorale. Permettere che il favorito si sottragga, come fece Berlusconi sia nel 2001 che nel 2008, vuol dire andare nella direzione esattamente opposta a quella indicata qui.

All’età di 90 anni è morto l’ex senatore al Congresso degli Stati Uniti George McGovern. Poco più di quarant’anni fa, McGovern fu il protagonista principale della transizione dal sistema dei partiti-apparati al sistema dei partiti governati dagli elettori, grazie alla riforma McGovern-Fraser. Essa modernizzò il partito democratico americano, stabilendo che tutti i delegati alla convention devono essere scelti dagli elettori, con modalità tali da riflettere fedelmente la volontà degli elettori del partito. Prima di quella riforma il partito era in mano a boss e capi-fazione che, per una via o per l’altra, riuscivano a nominare d’autorità gruppi di delegati, per poi manipolarli a piacimento.

Negli stati a maggioranza democratica le leggi che governavano le primarie pubbliche furono adattate alla riforma. Per non dover organizzare primarie autogestite, e quindi accollarsene le spese, anche il partito repubblicano si adattò subito al nuovo sistema.

A McGovern va dunque il merito di aver cambiato completamente la politica degli Stati Uniti, facendole fare un progresso senza uguali nella storia. Dal 1972 gli Stati Uniti d’America sono l’unica democrazia rappresentativa al mondo, nel senso che il loro sistema politico soddisfa il criterio della cassiera.

Potete leggere maggiori dettagli nella parte storica del libro.

McGovern si candidò alle elezioni del 1972, ma fu sconfitto dal presidente uscente Richard Nixon. McGovern riuscì ad ottenere la nomina del partito democratico anche grazie alle nuove regole. I maligni, cioè i capi-partito caduti in disgrazia, dissero che “si era fatto le regole apposta per vincere”. La realtà è invece che con quelle regole, che in quarant’anni hanno subito poche modifiche, nessuno è sicuro di vincere, perché il risultato è determinato unicamente dagli elettori. Lo sa Hillary Clinton, che, favorita, nel 2008 dovette cedere ad un nuovo arrivato, tale Barack Obama, e lo sa Mitt Romney, che quest’anno stava per essere scalzato via da Rick Santorum, un candidato che prima dei caucus dell’Iowa era dato al 3% dai sondaggi nazionali.

A questo punto viene spontaneo chiedersi: quanto tempo dovremo aspettare per avere in Italia il nostro McGovern?

Ripercorrendo la storia dei partiti americani e studiandone il funzionamento, fondato sulle elezioni primarie e le convention, elaboriamo una strategia per realizzare il sistema dei partiti governati dagli elettori anche in Italia.

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