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I dibattiti televisivi si sono conclusi e le elezioni presidenziali americane sono alle porte. Nel complesso, Romney e Ryan ne escono abbastanza bene.

A detta dei sondaggi, quella inflitta da Romney ad Obama nel primo dibattito è stata la più sonora sconfitta della storia. Cioè non si era mai visto uno stacco tanto grande tra le percentuali di telespettatori che attribuivano la vittoria ai due candidati. Nei dibattiti successivi Obama e Biden sono passati alla controffensiva, ma hanno giocato troppo spesso la carta dell’aggressività accompagnata da toni arroganti ed irrisori. Quella strategia è sicuramente servita a galvanizzare la base dell’elettorato democratico. Tuttavia, in generale i dibattiti televisivi hanno tutt’altro scopo, cioè quello di attrarre gli indecisi dalla propria parte. Romney se l’è cavata bene, dando un’immagine presidenziale e affidabile di sè. Per certi versi nell’ultimo dibattito, che verteva sulla politica estera, sembrava che lo sfidante fosse Obama e il presidente in carica fosse Romney.

Possiamo prendere spunto da questo aspetto delle elezioni presidenziali americane per sviluppare ulteriormente un discorso più ampio affrontato in questo sito, cioè che una democrazia rappresentativa è tale se e soltanto se soddisfa il criterio della cassiera: qualunque cittadino eleggibile deve potersi candidare a qualunque carica pubblica in qualunque tornata elettorale con effettive possibilità di vincere. Sappiamo che, tra le altre cose, per ottenere questo risultato occorre organizzare primarie sequenziali in crescendo, correlate con la convention, affinché il vantaggio di chi è già noto o ricco rimanga appunto un vantaggio e non diventi privilegio.

Ora possiamo affermare che in quest’ottica si rivelano non solo utili, ma addirittura cruciali, anche i dibattiti televisivi. Li chiamiamo così anche se ovviamente il fatto che siano fruibili dalla televisione, o come avviene oggi anche da internet o con altri mezzi di comunicazione, conta poco. Ciò che è importante, e che si è potuto chiaramente apprezzare grazie ai dibattiti televisivi americani relativi alle elezioni presidenziali, è che questi dibattiti garantiscono che il vantaggio di cui gode un presidente uscente o chi è favorito dai sondaggi rimanga appunto un vantaggio e non si traduca in un privilegio.

Spieghiamo meglio cosa è successo. Per mesi Obama ha speso centinaia di milioni di dollari in messaggi pubblicitari che avevano come unico scopo ridicolizzare il suo avversario, dipingerlo come un riccone sconnesso dal mondo, che non si cura dei poveri e che vuole riportare le lancette dell’orologio indietro di trent’anni. La cosa più triste è che era brillantemente riuscito nel suo scopo. Chi non seguiva la politica da vicino, cioè la maggior parte degli elettori, si era fatta questa opinione di Romney. Il primo dibattito televisivo è servito a spazzarla via d’un colpo, i dibattiti successivi a rafforzare l’immagine presidenziale che Romney ha voluto dare di sè. Non c’è dubbio che senza i dibattiti televisivi molte massaie crederebbero ancora che Romney è un rozzo e un bigotto. Ora invece, come candidamente ammesso da un’ospite di un famoso programma televisivo indirizzato al pubblico femminile (“The view”), l’opinione prevalente è completamente ribaltata rispetto a quella pre-dibattiti, e Romney è visto come un candidato votabile con tranquillità da chiunque ed eventualmente un presidente che può essere accettato da chiunque.

Per questo motivo, anche in Italia i dibattiti tra i candidati alla presidenza del consiglio dovrebbero essere obbligatori, con penalità per chi vi si sottrae, come l’imposizione o la riduzione consistente (diciamo il 50%) del tetto di spesa per la campagna elettorale. Permettere che il favorito si sottragga, come fece Berlusconi sia nel 2001 che nel 2008, vuol dire andare nella direzione esattamente opposta a quella indicata qui.

All’età di 90 anni è morto l’ex senatore al Congresso degli Stati Uniti George McGovern. Poco più di quarant’anni fa, McGovern fu il protagonista principale della transizione dal sistema dei partiti-apparati al sistema dei partiti governati dagli elettori, grazie alla riforma McGovern-Fraser. Essa modernizzò il partito democratico americano, stabilendo che tutti i delegati alla convention devono essere scelti dagli elettori, con modalità tali da riflettere fedelmente la volontà degli elettori del partito. Prima di quella riforma il partito era in mano a boss e capi-fazione che, per una via o per l’altra, riuscivano a nominare d’autorità gruppi di delegati, per poi manipolarli a piacimento.

Negli stati a maggioranza democratica le leggi che governavano le primarie pubbliche furono adattate alla riforma. Per non dover organizzare primarie autogestite, e quindi accollarsene le spese, anche il partito repubblicano si adattò subito al nuovo sistema.

A McGovern va dunque il merito di aver cambiato completamente la politica degli Stati Uniti, facendole fare un progresso senza uguali nella storia. Dal 1972 gli Stati Uniti d’America sono l’unica democrazia rappresentativa al mondo, nel senso che il loro sistema politico soddisfa il criterio della cassiera.

Potete leggere maggiori dettagli nella parte storica del libro.

McGovern si candidò alle elezioni del 1972, ma fu sconfitto dal presidente uscente Richard Nixon. McGovern riuscì ad ottenere la nomina del partito democratico anche grazie alle nuove regole. I maligni, cioè i capi-partito caduti in disgrazia, dissero che “si era fatto le regole apposta per vincere”. La realtà è invece che con quelle regole, che in quarant’anni hanno subito poche modifiche, nessuno è sicuro di vincere, perché il risultato è determinato unicamente dagli elettori. Lo sa Hillary Clinton, che, favorita, nel 2008 dovette cedere ad un nuovo arrivato, tale Barack Obama, e lo sa Mitt Romney, che quest’anno stava per essere scalzato via da Rick Santorum, un candidato che prima dei caucus dell’Iowa era dato al 3% dai sondaggi nazionali.

A questo punto viene spontaneo chiedersi: quanto tempo dovremo aspettare per avere in Italia il nostro McGovern?

Ripercorrendo la storia dei partiti americani e studiandone il funzionamento, fondato sulle elezioni primarie e le convention, elaboriamo una strategia per realizzare il sistema dei partiti governati dagli elettori anche in Italia.

Leggi il libro online ----> Read the rest of this entry »

Nell’articolo “Mitt Romney ha davvero qualche chance contro Barack Obama?” ho messo in evidenza alcune debolezze del candidato repubblicano alla presidenza Mitt Romney, basate sull’analisi dell’andamento delle primarie repubblicane. Infatti, Romney è essenzialmente un candidato moderato e può avere grandi difficoltà a convincere gli elettori più conservatori a sostenerlo e andare a votarlo. Sulla base di quell’analisi mi ero convinto che nella battaglia contro Obama Romney non avesse molte chance di vittoria.

Recentemente, tuttavia, un evento importante ha cambiato le carte in tavola. A sorpresa, la Corte Suprema americana ha deciso a favore della costituzionalità del contestato “Obamacare”, cioè la riforma sanitaria voluta da Obama, che prevede tra l’altro l’obbligo per tutti di acquistare un’assicurazione sanitaria. Inizialmente, sembrava che questa fosse una vittoria di Obama e desse slancio alla sua campagna elettorale. Tuttavia, col passare dei giorni è diventato chiaro che le cose non stavano proprio come i democratici avrebbero voluto.

Per non cassare la riforma di Obama, la Corte ha dovuto stabilire che l’obbligo ad acquistare un’assicurazione sanitaria deve essere considerato alla stregua di “una tassa”, e quindi la riforma di Obama pende sul capo di ogni cittadino americano come un’enorme tassa in tempi di crisi, cosa che ha suscitato le ire di tantissimi elettori, anche coloro che l’assicurazione sanitaria ce l’hanno già, e che con la riforma di Obama si vedono privati della libertà di decidere di non rinnovarla in futuro. La decisione della Corte ha ridato fiato ai conservatori, inclusi i Tea Party, che si erano abbastanza sopiti e mostravano poco entusiasmo per Romney. Le donazioni a favore di Romney sono aumentate enormemente subito dopo la decisione della Corte. Ricordiamo che Romney si è impegnato ad abrogare Obamacare appena si insedierà alla Casa Bianca.

Allo stato attuale, penso che la competizione tra Mitt Romney e Barack Obama sia più equilibrata di quanto era prima della decisione della Corte Suprema, con Obama ancora favorito, ma molto meno. Credo che Mitt Romney potrà colmare il gap restante soltanto se azzeccherà la scelta del candidato vicepresidente. Per annullare questo effetto, Barack Obama dovrebbe scaricare il grigio Joe Biden e scegliere un candidato vicepresidente che possa davvero aiutarlo a riconquistare la Casa Bianca.

Ogni altro evento di rilievo sarà comunicato e discusso su questo sito, dove seguiremo l’evolversi delle elezioni americane 2012 passo dopo passo. 

Segnalo anche la pagina di RealClearPolitics dove potete seguire in tempo reale l’andamento dei sondaggi sulla corsa alla Casa Bianca, con informazioni sulle medie e gli errori statistici. 


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