Finora Mitt Romney si è mosso in modo molto intelligente ed ha azzeccato parecchie decisioni importanti, superando le aspettative dei suoi stessi sostenitori. La prima mossa azzeccata è stata quella di ignorare le provocazioni dei democratici. Obama ha speso milioni di dollari in messaggi pubblicitari contenenti tesi troppo deboli e puramente speculative, prive della forza necessaria per mettere veramente in difficoltà l’avversario. In questo modo ha confermato l’impressione che molti americani hanno di lui: una persona che non sa spendere bene i propri soldi non sa spendere bene i soldi della collettività. In genere, l’efficacia di messaggi negativi e provocatori non sta tanto nel contenuto dei messaggi stessi, ma nella reazione che suscitano presso gli avversari. Se l’avversario risponde in modo efficace, o non risponde affatto, come ha fatto Romney tenendo la bussola fissa sui problemi dell’economia, quei messaggi si rivelano di minima utilità.
La scelta del candidato vicepresidente è stata pure azzeccata. E’ la prima decisione cruciale di un candidato presidente, dalla quale si può capire se è veramente pronto a guidare il paese. Scegliendo Paul Ryan al proprio fianco, Romney ha voluto lanciare una sfida aperta ad Obama e ai democratici sul loro stesso terreno, affermare che il proprio piano per il rientro del debito, e i sacrifici che prevede, non sono causa di imbarazzo, ma cavalli di battaglia su cui confrontarsi apertamente cogli avversari, per conquistare il consenso della gente sull’urgenza di risolvere i problemi dell’economia, non sulle promesse di dare qualche vantaggio agli uni tassando gli altri. La convention repubblicana ha completato l’opera di costruzione di un’immagine positiva e diffusione di un messaggio rivolto a tutti gli americani. Romney ha scelto la via dell’unità di tutti gli americani contro la crisi, il nemico numero uno del momento attuale, e contrapposto questa prospettiva alla campagna divisiva di Obama, fondata sul principio del “divide et impera”. Il messaggio repubblicano è passato, ed è sicuramente un messaggio efficace.
Sarà difficile per i tanti fan di Obama tornare alle urne e votare convintamente un presidente che da mesi non apre bocca sui problemi del paese, non si avventura nemmeno a proporre un piano per uscire dalla crisi, per creare posti di lavoro, imbarazzato com’è dal fallimento della sua politica. Per settimane la principale preoccupazione dei democratici è stata disquisire su cosa possa essere e cosa possa non essere scritto nelle dichiarazioni dei redditi del suo avversario, mai rilasciate, relative ai dieci anni passati. Sicuramente non è il principale problema di lavoratori, disoccupati e piccoli imprenditori, di chi viene licenziato come di chi è costretto a licenziare e a chiudere la propria attività.
Ora la palla passa nel campo democratico. La prossima settimana i democratici americani terranno la loro convention. Sarà l’ultima occasione per mostrare di avere un piano per il futuro del paese, di poter offrire delle prospettive a breve e lungo termine. Se invece insisteranno con i tentativi fatti finora, per la verità molto maldestri, di demonizzare gli avversari, sanciranno definitivamente la scollatura tra loro e la gente. In quel caso, paradossalmente, il partito democratico diventerà di fatto un partito di benestanti e ammaliapopolo, perché soltanto chi ha abbastanza soldi in cassa, in una situazione come questa, non si accorge dei problemi di chi fatica a riempire il serbatoio di benzina.
Allo stato attuale i sondaggi danno i due candidati praticamente alla pari. Prima della convention repubblicana avrei detto che una situazione di parità nei sondaggi era da intendersi come un leggero vantaggio per Obama, ora penso che sia da leggere come un leggero vantaggio per Romney. Infatti, l’ottimismo che si respira in casa repubblicana è palpabile, mentre il presidente uscente trasmette sempre più, anche con l’espressione del suo sguardo, la situazione di difficoltà in cui si trova.