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Sono stato al Lingotto sabato 11 e domenica 12 marzo, dove si teneva l’incontro nazionale dei sostenitori di Renzi per le primarie del prossimo 30 aprile. L’impressione che ne ho tratto è estremamente deludente. Il PD non è un partito, ma un comitato elettorale, finalizzato a perorare la candidatura o ricandidatura di una ristretta cerchia di persone. Lo si capisce dal fatto che, consapevolmente o no, vengono messe in atto tutte le tecniche più sofisticate per respingere (non attrarre, ma respingere!) le persone che si avvicinano al “partito”. Se sei un elettore e vuoi contribuire gratuitamente alla loro causa, la prima reazione che troverai è l’indifferenza, la seconda è l’indifferenza e la terza è il fastidio. Praticamente, ogni volto nuovo viene visto come una potenziale minaccia alle possibilità di candidatura o ricandidatura delle persone della cerchia ristretta di cui sopra. In fondo si capisce, visto che le persone di quella cerchia sono cooptate dall’alto e quindi non sarebbero in grado di reggere una competizione elettorale vera contro avversari nuovi e freschi, magari più capaci di loro a raccogliere il consenso degli elettori. Il paragone coi partiti americani è veramente impietoso.
La conclusione è che il PD non è sostanzialmente diverso dagli altri “partiti” italiani che ho studiato. Colpiscono la paranoia nei confronti di chiunque vi si avvicini e l’estrema chiusura dei cosiddetti vertici. Così facendo si limita il bacino di persone che partecipano a queste e altre iniziative ad un manipolo di irriducibili aficionados (ci sono anche quelli che seguono la Ferrari a tutti i gran premi…) più gli ingenui che si avvicinano la prima volta e non capiscono cosa si trovano di fronte. Il risultato è che con un sistema partitico come quello italiano la competizione è al ribasso, e ciascun “partito” cerca di fermarsi un po’ meno in basso degli altri, per sperare di essere votato in base all’argomento che “gli altri sono ancora peggio, quindi dovete votare per noi”.
Mi sono anche fatto spiegare come funziona l’assemblea nazionale del PD, come vengono scelti i delegati. Anche qui, il paragone con la convention dei partiti americani è impietoso. Dove là c’è estrema apertura e libertà, qui c’è chiusura. Se là la convention governa il partito, qui l’assemblea nazionale ratifica decisioni proposte dai “vertici” del partito (che in Usa non esistono), se là i delegati sono liberi di interpretare la volontà dei loro elettori come meglio credono, qui sono vincolati ai candidati alla segreteria che hanno deciso di appoggiare.
Ho parlato delle mie idee a vari militanti. L’interesse da parte loro è effettivamente molto grande, ma decresce rapidamente quando si parla coi vertici. Chi arriva ai vertici di questi “partiti” di solito non ci arriva per consenso popolare, ma per cooptazione. Pertanto, non ha alcuna idea di cosa sia veramente un’elezione, o cosa sia la volontà popolare. Crede di essere diventato un VIP, e dunque “se la tira”. Un comportamento disgustoso, ma molto diffuso. Se negli Usa un rappresentante eletto ignorasse le email dei suoi elettori la pagherebbe molto cara alle primarie successive, perché nessuno gli garantisce la ricandidatura, se non appunto gli elettori.
La seconda conclusione è una conferma di quanto teorizzato fin qui su questo sito, cioè che questo sistema partitico è facilmente battibile usando il format delle libertarie.