I repubblicani e la riforma del processo di nomina

Come abbiamo visto, negli anni compresi tra il 1968 e il 1988 i democratici si dotarono per la prima volta di un sistema complessivo di regole nazionali, con la riforma McGovern-Fraser e gli aggiustamenti successivi. Per contro, nello stesso periodo i repubblicani non apportarono quasi nessuna modifica alle loro regole nazionali. Nonostante questo, il Partito Repubblicano si adattò al mutamento contemporaneamente al Partito Democratico, e senza bisogno di passare attraverso le fasi drammatiche che furono necessarie ai democratici. Ciò fu possibile per una serie di ragioni. In primo luogo, le regole nazionali del Partito Repubblicano erano così scarne che potevano adattarsi tanto alla situazione precedente, quanto alla nuova. I repubblicani non avevano inclinazioni particolari ad accentrare o regolamentare il partito a livello nazionale. Erano più propensi a concedere maggiori libertà agli stati e alle unità locali del partito, che decidevano in autonomia. Nella maggior parte dei casi il partito nazionale si limitava a indicare le linee-guida da seguire. In secondo luogo, l’evoluzione non incontrò resistenze particolari all’interno del Partito Repubblicano. Il duello tra Roosevelt e Taft era ormai un lontano ricordo. Dopo l’attenzione crescente catalizzata dalle primarie nel periodo compreso tra il 1948 e il 1968 e dopo le fasi drammatiche della convention democratica del 1968, la resistenza contro l’adozione delle primarie e la conseguente riorganizzazione dei partiti non era più forte come un tempo. Molti uomini politici si resero conto, più o meno consciamente, che ormai i tempi erano maturi per il passaggio al sistema aperto.

La trasformazione del processo di selezione dei delegati ebbe luogo principalmente per effetto delle legislazioni statali approvate dai democratici. In sostanza, si ripeté, a parti invertite, quello che era successo nel primo periodo di primarie presidenziali, dal 1912 al 1924, allora per effetto delle legislazioni statali approvate dai progressisti. Negli stati in cui avevano la maggioranza, i democratici fecero approvare dai parlamenti statali legislazioni coerenti con le riforme delle commissioni McGovern-Fraser e delle commissioni successive. Per quanto i partiti non fossero obbligati a selezionare i propri delegati con le modalità stabilite dalle leggi statali, i repubblicani si adeguarono in modo naturale. Come più volte sentenziato dalla Corte Suprema, i partiti hanno il diritto di gestire il processo di selezione dei propri delegati in totale autonomia. Nel caso in cui la legislazione statale sia incompatibile con le regole interne del partito, prevalgono le regole interne. Tuttavia, applicare le leggi statali conviene dal punto di vista economico, perché in quel modo una parte consistente delle spese di organizzazione ricade sull’amministrazione pubblica, invece che sulle casse del partito. Inoltre, prima delle sentenze della Corte, che arrivarono gradualmente, in risposta ai ricorsi presentati da candidati e militanti, non era ancora chiaro che le leggi statali sulle primarie fossero da intendere come un’opzione, invece che un obbligo.

Tuttavia, i repubblicani conservarono parecchie differenze rispetto ai democratici. Per esempio, non adottarono mai restrizioni categoriche come l’abolizione del sistema del “vincitore piglia tutto”. Questo sistema è usato ancora oggi nelle primarie repubblicane di molti stati. Tuttavia, siccome viene applicato separatamente a livello di distretto e a livello statale, un candidato che ottiene la maggioranza relativa dei voti a livello statale non si aggiudica necessariamente tutti i delegati dello stato: per ottenere questo risultato deve riuscire a vincere in tutti i distretti dello stato. In un numero limitato di stati anche i repubblicani adottarono il sistema proporzionale, ma, a differenza dei democratici, non imposero una soglia di sbarramento universale. Gli sbarramenti repubblicani variavano da stato a stato, tipicamente compresi tra lo 0% il 20%. Infine, la frazione dei superdelegati repubblicani poteva variare considerevolmente, a seconda che la nomina fosse contesa o meno: nel 2000 i superdelegati furono soltanto 205 su 2066, pari al 10%, nel 2004 furono 773 su 2509, pari a circa il 30%, nel 2008 furono 561 su 2380, pari a circa il 24%, e nel 2012 furono 415 su 2286, pari al 18% [38].

Anno Stati con primarie democratiche Votanti alle primarie democratiche Stati con primarie repubblicane Votanti alle primarie repubblicane
1912 12 975 13 2261 [39]
1916 20  1188 [40] 20 1923 [40]
1920 16 572 20 3186
1924 14 764 17 3525
1928 17 1264 [41] 16 4110 [41]
1932  16  2953 14 2347
1936 14 5182 12 3320
1940 13 4469 13 3228
1944 14 1868 13 2272
1948 14 2152 12 2653
1952 15 4909 13 7801
1956 19 5833 19 5828
1960 16 5687 15 5538
1964 17 6247 [42] 16 5935
1968 15 7535 [43] 15 4474 [43]
1972 24 15994 [43] 23 6188 [43]
1976  30 16045 [44] 30 10374 [44]
1980 34 18748 34 12690 [45]
1984 29 18009 25 6576
1988 36 22962 36 12165
1992 39 20239 38 12697
1996 37 10960 43 15319
2000 42 13986 [46] 42 19217
2004 36 16282 33 8008 [47]
2008 38 36202 40 20268 [48]
2012 34 6180 [49] 37 17730

Tabella II. Numero di stati con primarie presidenziali dal 1912 al 2012, e affluenza, includendo anche il Distretto di Columbia. I numeri di partecipanti sono in migliaia. I dati fino al 1976 compreso sono ricavati da [L14], dal 1972 al 1992 da [L17], del 1996 da [S9], Federal Election Commission, dal 2000 ad oggi da [S13], The Green Papers.

I repubblicani ebbero dunque la fortuna di modernizzarsi senza traumi, in modo spontaneo. Per certi aspetti, oggi hanno un grado di apertura persino maggiore di quello dei democratici. Le carte delle regole approvate dalle convention repubblicane definiscono il Partito Repubblicano come “il partito delle porte aperte” e si propongono “di incoraggiare e permettere la più ampia partecipazione possible di tutti gli elettori americani alle attività del partito repubblicano a tutti i livelli e di assicurare che il partito repubblicano sia aperto ed accessibile a tutti gli americani” [50]. Notiamo che si parla di “elettori americani”, non di “elettori repubblicani”. Pertanto, i repubblicani sono più favorevoli dei democratici alle primarie aperte. Come mostra la tabella II, furono i repubblicani a raggiungere il record di 43 primarie nel 1996, mentre i democratici si fermarono alle 42 del 2000.

La tabella II riepiloga il numero di stati che tennero primarie presidenziali dal 1912 al 2012, con l’affluenza ai seggi, comprendendo anche il Distretto di Columbia. Abbiamo incluso anche le primarie meno ortodosse, come quelle consultive, perché in questo modo il criterio di conteggio coincide con quello usato finora per il periodo antecedente il 1972. Come si vede, nell’epoca moderna il numero di stati che tennero le primarie fu doppio o triplo rispetto all’epoca pre-moderna e il progresso fu repentino e concentrato tra il 1972 e il 1976. L’affluenza ai seggi aumentò corrispondentemente.

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