La regola della maggioranza assoluta
La composizione della convention nazionale riflette il consenso popolare dei candidati alla nomina. Infatti, il numero di delegati giurati attribuiti a ciascun candidato alla nomina è stabilito in base al consenso da lui raccolto presso gli elettori. Nei due partiti maggiori la relazione tra il consenso espresso per un candidato e il numero di delegati eletti suoi sostenitori è stabilita con regole diverse, più o meno uniformi negli stati dell’Unione. Anche tenendo conto di queste differenze, come pure dell’esistenza dei superdelegati, che non sono impegnati a sostenere nessun particolare candidato alla nomina, possiamo comunque dire che oggi la composizione della convention nazionale di ciascun partito maggiore riflette la volontà popolare in maniera adeguata.
Il numero di delegati che partecipano alla convention è relativamente grande. Tuttavia, sappiamo che un’assemblea di quelle dimensioni è in linea di principio controllabile dai capi partito, come succedeva nell’era preriformatrice. Il rischio è scongiurato dal fatto che nella convention moderna i delegati non decidono le candidature, ma le regole e il programma. In altre parole, il lavoro della convention è il più importante, ma il meno appariscente. Le candidature, invece, sono rimesse direttamente agli elettori. è difficile immaginare che i leader del partito, supposto che esistano ancora, si diano da fare per pilotare una convention, visto che in palio non c’è nulla di appetibile. Al capo-partito non rimane dunque alcuna possibilità di manovra. Infatti, dopo le riforme del 1972 la figura stessa del capo-partito scomparve progressivamente. Oggi i delegati possono lavorare tranquillamente e concentrarsi sui loro compiti, senza interferenze o distrazioni.
Se nella maggior parte dei casi il voto dei delegati alla convention per il candidato alla nomina non fa che ratificare la designazione delle primarie, dal punto di vista formale il potere di designare il candidato presidente appartiene comunque e pur sempre alla convention. La ragione è la regola della maggioranza assoluta. Le primarie non possono bastare, da sole, a designare il candidato presidente a maggioranza assoluta, perché non c’è garanzia che un candidato riceva la maggioranza assoluta dei voti. D’altra parte, la regola della maggioranza assoluta serve ad unire il partito attorno al candidato prescelto. Anche se non elimina completamente rischio di divisioni e di opposizioni interne, almeno elimina i pretesti principali che potrebbero alimentarle. Infatti, un vincitore eletto a maggioranza relativa, ma non assoluta, rappresenterebbe soltanto una minoranza del partito. Le fazioni rivali disporrebbero di un pretesto per indebolirlo. A dire il vero, la maggioranza dei delegati giurati necessaria ad ottenere la nomina è “più che assoluta”, per compensare la presenza dei superdelegati. Per esempio, nel 2004 Kerry dovette vincere 2162 delegati giurati, il 61,4% del totale, prima di avere la certezza matematica della nomina. Similmente, nel 2000 George W. Bush dovette vincere 1034 delegati giurati, pari al 55,6% del totale. Se nessun candidato ottiene un numero di delegati giurati sufficiente ad assicurargli la nomina, la votazione della convention diventa determinante. Si potrebbe pensare che in un caso come questo, verificatosi solo alla convention democratica del 2008, nell’era delle primarie moderne, la convention tornerebbe ad essere teatro di manovre poco trasparenti, come accordi di potere e scambio tra i candidati, per convogliare pacchetti di delegati a favore di un outsider, un candidato di compromesso o un “dark horse”. Il caso del 2008 però dimostra che non è così. Vediamo meglio perché.
A differenza che nell’epoca preriformatrice, quando la maggior parte dei delegati era fatta di delegati di partito, oggi la grande maggioranza è fatta di delegati di base, cioè semplici cittadini elettori, con poca o nessuna esperienza politica. Si tratta di persone disinteressate, che non hanno nessuna ambizione di intraprendere una carriera politica, ma vogliono unicamente dar voce alle proprie esigenze, in modo che il partito e la politica possano aiutarle a risolvere anche e soprattutto i problemi della vita quotidiana, non soltanto le grandi questioni nazionali ed internazionali. Persone come queste sono poco disposte a tradire il proprio giuramento o il mandato popolare, a mentire e ordire macchinazioni, e dunque sono difficilmente manovrabili.
Ricordiamo poi che un delegato giurato è vincolato a rappresentare fedelmente il volere dei suoi elettori, non il volere del candidato alla nomina a cui si è impegnato. Mediante le elezioni primarie e i caucus moderni, la preferenza degli elettori per il candidato alla nomina viene espressa inequivocabilmente. Pertanto, nel momento del voto per la nomina i delegati giurati non possono che votare per il candidato che hanno promesso solennemente di sostenere, a meno che questo non si sia ritirato nel frattempo. Se facessero diversamente, tradirebbero il mandato popolare e il proprio giuramento. Su tutte le altre questioni i delegati sono liberi di interpretare il volere dei propri elettori secondo coscienza. Per esempio, se un candidato alla nomina, chiamiamolo CN, si ritira per appoggiare un altro candidato, diciamo CN’, CN non ha alcuna garanzia che i propri delegati seguiranno la sua indicazione e voteranno davvero per CN’. In merito a questa questione, i delegati saranno liberi di interpretare il volere dei propri elettori secondo coscienza. Nel caso di manovre poco trasparenti, la probabilità che i delegati seguano indicazioni oblique è bassissima. Allo stesso modo, un candidato alla nomina non ha alcuna possibilità di manovrare i “propri” delegati giurati come crede, magari istruirli ad approvare punti programmatici che difendano interessi particolari, perché, di nuovo, i delegati non hanno alcun obbligo a seguirlo, hanno solo l’obbligo di seguire i propri elettori. Pertanto, la convention moderna, correlata con le primarie, non è più esposta alle insidie delle convention antiche. Non esistono più i presupposti per fare accordi sottobanco, pilotare la convention, indirizzare pacchetti di delegati fedeli verso questo o quel candidato, e ribaltare la volontà popolare uscita dalle primarie. La forza dell’investitura popolare è tale che anche i superdelegati vi si adeguano. Come già ricordato, nel 2008, quando i superdelegati furono determinanti per decidere il vincitore della nomina democratica, essi si adattarono semplicemente alla volontà popolare, che aveva visto Obama prevalere su Hillary Clinton, e questo avvenne con molto anticipo rispetto all’inizio dei lavori della convention, e nonostante nella fase iniziale della stagione delle primarie molti più superdelegati appoggiassero Clinton, per questo considerata la candidata favorita dall’establishment, invece che Obama. Ormai le possibilità di manovrare i delegati alla convention sono talmente labili che nessuno prende più in considerazione ipotesi di questo tipo.
Nell’era delle primarie moderne non appena il vincitore emerge, di solito verso la metà della stagione delle primarie, si mette in moto un effetto domino a favore del prescelto: gli avversari si ritirano e appoggiano il vincitore, le primarie rimanenti diventano plebisciti a suo favore e anche i delegati “uncommitted” e i superdelegati si allineano. Per esempio, nella convention democratica del 2004 Kerry ricevette i voti di 4253 delegati su 4322 (il 98,6%), nonostante alle primarie ne avesse vinti “soltanto” 2701. Altri 5 candidati alla nomina avevano vinto delegati: Howard Dean, John Edwards, Wesley Clark, Al Sharpton e Dennis Kucinich. I primi tre si ritirarono per tempo, appoggiando Kerry, mentre gli ultimi due si ritirarono ufficialmente solo dopo la convention. Oltre a Kerry, soltanto Kucinich ricevette voti di delegati alla convention, poco meno dell’1%. Gli astenuti furono soltanto lo 0,6%.
Per queste ed altre considerazioni, che per ragioni di spazio non possono essere trattate compiutamente in questo scritto, dopo aver a lungo considerato varie soluzioni e alternative possibili, e ipotesi per correggere più o meno profondamente l’attuale sistema, molti studiosi giunsero finalmente alla conclusione che il sistema americano attuale dei partiti governati dai propri elettori, con la sua varietà e complessità, il suo dinamismo e la sua adattabilità, con le primarie e i caucus, con la convention nazionale correlata alle primarie e ai caucus, sequenzializzato, capace di agevolare la discesa in campo di candidati poco noti e non ricchi e di dar loro effettive possibilità di vincere, in grado di autoregolarsi e autoemendarsi, con organizzazioni partitiche a livelli minimali, dove tutto viene azzerato ad ogni tornata elettorale, comprese le carte delle regole, è in realtà il sistema migliore.
A titolo di esempio, ci limitiamo a considerare brevemente un’ipotesi alternativa che potrebbe venire in mente, e mostriamo perché non funzionerebbe. Un modo per garantire che il vincitore sia sorretto dalla maggioranza assoluta del consenso potrebbe essere quello di usare primarie con ballottaggio. Abbiamo già messo in evidenza le lacune di questo sistema, ma ci può essere d’aiuto evidenziarne altre, per illustrare meglio le proprietà del sistema fatto di primarie sequenziali correlate alla convention. Le primarie con ballottaggio possono essere pensate con o senza convention. Tuttavia, un sistema senza convention può essere adottato soltanto da partiti chiusi, non dai partiti governati dai propri elettori. Infatti, eliminando la convention si eliminerebbe il governo popolare dei partiti. Gli elettori continuerebbero a scegliere i candidati alle elezioni, ma non potrebbero più stabilire le regole del partito, elaborare il programma politico-elettorale, indire, organizzare e supervisionare le primarie, insomma governare il partito. Il vuoto lasciato dalla convention sarebbe subito occupato da gruppi elitari autoreferenziali (i “partiti”, nel senso di “apparati”). Si creerebbe un sistema “primarie/partiti”, non “primarie/convention”. Eliminato il governo popolare del partito, in poco tempo anche le primarie sarebbero a rischio. D’altra parte, se si volessero istituire primarie con ballottaggio mantenendo la convention, si dovrebbero eleggere i delegati al primo turno, mentre al secondo turno si dovrebbero contare soltanto i voti. Allora si rischierebbe di nominare un candidato diverso da quello preferito dalla maggioranza della convention, perdendo la fondamentale correlazione tra primarie e convention. La conflittualità tra le idee dei candidati vincitori delle primarie e le idee della convention creerebbe tensioni che porterebbero presto il partito a chiudersi o a spaccarsi. Invece, come spiegato altre volte, la sequenzializzazione delle primarie correlate alla convention produce quasi sempre maggioranze assolute a favore del vincitore delle primarie, anche se teoricamente non garantisce questo risultato in assoluto. Il fatto che il risultato finale non sia mai garantito in assoluto contribuisce, assieme alla sequenzializzazione stessa, a dare al sistema quell’imprevedibilità che lo rende impossibile da controllare.
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