Primarie sequenziali

Le primarie presidenziali sono primarie sequenziali. Ciascuno stato fissa la data delle proprie primarie autonomamente, all’interno di una finestra temporale di alcuni mesi, stabilita dalle regole nazionali del partito. Nelle intenzioni, la finestra tipica è compresa tra il primo martedì di marzo al secondo martedì di giugno, con eccezioni per Iowa, New Hampshire e pochi altri, per permettere a questi stati di rispettare le loro tradizioni e tenere le consultazioni con qualche settimana di anticipo. Tuttavia, le deroghe ulteriori e le violazioni alle regole sono sempre numerose, per cui nei mesi di gennaio e febbraio si svolge già una competizione intensa. Eccezionalmente, nel 2008 l’inizio della finestra temporale fu anticipato di un mese.

Lo svolgimento delle primarie è così diluito su una stagione di qualche mese, secondo la sequenza cronologica che scaturisce dalle decisioni autonome degli stati. Quando si recano a votare, gli elettori residenti in uno stato conoscono già l’esito delle primarie tenutesi negli stati in cui si è votato precedentemente. Dispongono di una classifica parziale che mette in luce i candidati con effettive possibilità di ottenere la nomina e battere l’avversario nelle elezioni generali, rispetto ai candidati che sono praticamente fuori gioco. La sequenzializzazione permette dunque all’elettorato di rielaborare collettivamente le proprie intenzioni di voto, e di esprimere un voto ragionato e ponderato. è utile anche ai candidati stessi, che possono dosare gli sforzi e i costi, e sapere in tempo reale se vale la pena continuare o no.

Le primarie sequenziali sono contrapposte alle primarie nazionali, cioè primarie tenute contemporanee in tutta la nazione. La possibilità di introdurre primarie nazionali negli Stati Uniti fu considerata a varie riprese da esponenti politici e studiosi. Per esempio, una proposta in questo senso era già contenuta nel documento programmatico del partito “bull moose” di Theodore Roosevelt, approvato dalla convention progressista del 1912. L’idea fu ripresa poco dopo, nel 1913, dal nuovo presidente Woodrow Wilson nel suo primo discorso al Congresso.

Tuttavia, una legge per le primarie nazionali non supererebbe il vaglio della Corte Costituzionale. Ricordiamo che la Costituzione americana non dà al Congresso nemmeno il potere di stabilire le modalità con cui sono scelti i grandi elettori, che spettano ai parlamenti degli stati. A maggior ragione il Congresso non può stabilire come e quando i partiti degli stati debbano concorrere alla nomina dei candidati alla presidenza e alla vicepresidenza. Solo improbabili modifiche alla Costituzione potrebbero permettere al Congresso di introdurre le primarie nazionali per legge.

Inoltre, la prospettiva di un passaggio a primarie nazionali non ha mai trovato grande consenso. Attualmente non si registra un movimento d’opinione a favore delle modifiche costituzionali necessarie. Una possibilità per arrivare velocemente alle primarie nazionali sarebbe che tutti i 50 stati più il Distretto di Columbia si accordassero spontaneamente per tenere le primarie nello stesso giorno. Nel 1988 19 stati presero una decisione come questa, creando il supermartedì, una giornata che concentrava ben 16 primarie e 3 caucus. Per quanto possibile in linea di principio, anche la realizzazione di primarie nazionali per iniziativa spontanea degli stati è molto remota. Quand’anche si trovasse l’accordo in una tornata elettorale, difficilmente l’accordo sarebbe rinnovato nella tornata elettorale successiva, perché gli stati non sarebbero vincolati legalmente a rispettarlo. Gelosi come sono della propria autonomia, tornerebbero presto a decidere le date delle proprie primarie in modo autonomo. Per esempio, dopo il 1988 il supermartedì si ridusse subito a 7-11 primarie. Una concentrazione come quella del 1988 non si ripeté più fino al 2008, quando nel supermartedì si tennero 16 primarie democratiche e 15 repubblicane, più 5 caucus democratici e 4 caucus repubblicani. Tuttavia, anche quella concentrazione non sopravvisse la volta successiva. Infatti nel supermartedì del 2012 si tennero soltanto 7 primarie democratiche, di cui una cancellata per mancanza di oppositori ad Obama, e 7 primarie repubblicane, più 1 caucus democratico e 2 caucus repubblicani.

Accanto alle difficoltà costituzionali e pratiche, e all’assenza di un movimento d’opinione popolare favorevole, le primarie nazionali sono insoddisfacenti per i motivi che discuteremo ampiamente nel resto di questo scritto. Per la precisione, mostreremo che la sequenzializazione deve essere considerata cruciale per il funzionamento del sistema dei partiti governati dagli elettori, al punto che, invece di nazionalizzare le primarie sequenziali, è imperativo sequenzializzare tutte le primarie nazionali e anche le primarie locali, dividendo il territorio interessato dal voto in una o due decine di aree geografiche distinte, che raggruppino un certo numero di sezioni elettorali ciascuna, e stabilendo il calendario delle primarie in modo che in ciascuna area si voti a distanza di circa una settimana dalle altre, secondo una sequenza fissata o casuale. Ancor più arditamente, si potrebbe pensare di modificare la Costituzione in un senso diametralmente opposto a quello ipotizzato sopra, per permettere la sequenzializzazione delle elezioni generali. Tuttavia, una riforma del genere appare superflua se i candidati sono scelti con primarie sequenziali.

Una variante delle primarie sequenziali sono le primarie regionali, le cui tornate coinvolgono gruppi di stati nello stesso giorno o in giorni vicini. Per certi aspetti, dopo l’introduzione del minimartedì e del supermartedì, giornate in cui parecchi stati tengono le proprie consultazioni contemporaneamente, le primarie americane sono diventate in parte regionali.

Il meccanismo delle primarie sequenziali crea una competizione molto vivace, rimescola le carte, aumenta le variabili in gioco, riduce notevolmente la prevedibilità del risultato finale. Inoltre, permette ai candidati alla nomina di diluire gli sforzi e ridurre i costi, e quindi agevola la discesa in campo di persone nuove, anche chi all’inizio è poco noto o non particolarmente ricco, riduce il gap tra lui e i favoriti e gli dà concrete chance di vittoria. In terzo luogo, permette agli elettori di vagliare i candidati molto attentamente ed efficacemente durante la sequenza, avvicina i candidati agli elettori, costringe i candidati a percorrere il territorio in lungo e in largo per mesi e mesi, alle volte anche affannosamente, creare comitati elettorali in tutto il paese, entrare in contatto diretto con i cittadini, parlare e interagire con moltissime persone comuni, tenere comizi, stringere mani in ogni città, raccogliere fondi per la campagna elettorale, farsi conoscere e quindi giudicare dal popolo. Superando le difficoltà tipiche delle primarie nazionali, che richiedono ad esempio di investire in un sol colpo le risorse necessarie a fare propaganda e campagna elettorale in tutto il territorio, scongiura il rischio di campagne elettorali prettamente “televisive” e di immagine, che di fatto riducono a zero le possibilità di successo di chi non è già famoso o super-ricco.

Uno dei motivi per cui gli americani prediligono il sistema di primarie sequenziali è appunto che non intendono rinunciare a un meccanismo che costringe i candidati alla carica più alta ad intrattenere rapporti diretti con i cittadini. Svariate volte, quando si assiste a un confronto su questo tema nei dibattiti televisivi che hanno luogo sui media americani, la possibilità di primarie nazionali viene molto velocemente scartata sulla base degli argomenti appena esposti. I commentatori sottolineano in particolare che soltanto la sequenzializzazione permette agli elettori di esaminare i candidati in profondità e scongiurare decisione affrettate o emotive.

D’altra parte, una competizione combattuta diluita nel tempo acquista una grande risonanza sui media, anche locali, che si traduce in pubblicità e propaganda gratuite per tutta la durata delle primarie. Se la fine della stagione fatta di primarie e convention coincide coll’inizio della campagna elettorale per le elezioni generali, come effettivamente succede negli Stati Uniti, gli effetti di questi benefici sono massimizzati. Il candidato prescelto, dopo aver trionfato nel suo partito, sorretto dall’onda lunga dell’investitura popolare e di partito ricevuta nelle primarie e dalla convention, può sfruttare al massimo la popolarità del momento e proseguire la sua marcia contro il candidato del partito avversario per la conquista della Casa Bianca, senza soluzione di continuità.

Il gran numero di primarie costringe i candidati a pianificare sofisticate strategie di campagna elettorale con adeguato anticipo. Per esempio, è essenziale concentrare gran parte dello sforzo sulle consultazioni che hanno luogo per prime in ordine cronologico. Molti candidati cominciano a lavorare parecchi mesi prima dell’inizio della stagione delle primarie. Tipicamente, formano un gruppo ristretto di lavoro e riuniscono un insieme più esteso di simpatizzanti. Il gruppo ristretto ha il compito di aiutare il candidato a raccogliere fondi, studiare la strategia, articolare un messaggio che faccia presa sugli elettori. Il gruppo allargato di simpatizzanti prepara la stagione delle primarie nei singoli stati, per esempio stabilisce contatti con i giornali e le tv locali, cerca di ottenerne il favore, sonda le reazioni della popolazione su un insieme di posizioni e proposte politiche, crea una rete organizzativa con le sedi locali del partito. Tipicamente, il risultato elettorale delle primarie è buono quando il consenso raccolto dal candidato supera le previsioni di politici e analisti, anche se il candidato non si classifica primo. Un esito come questo garantisce l’attenzione dei media per parecchi giorni e crea un effetto-risonanza che può premiare il candidato nelle primarie immediatamente successive. Il risultato delle primarie è deludente quando è più basso delle previsioni, e questo vale anche per il vincitore. Esso può significare lo scivolamento verso la marginalità, perché incide negativamente sulle primarie successive.

Il cammino delle primarie sequenziali è lungo e faticoso, una maratona che può essere corsa una sola volta o al massimo due nella vita. Difficilmente, per esempio, un candidato che ottiene la nomina del suo partito e poi perde le elezioni si ridandida successivamente. L’unico caso che si ricordi in epoca moderna è quello di Richard Nixon, che ottene la nomina repubblicana nel 1960, ma fu battuto da John F. Kennedy alle elezioni generali, e poi riottenne la nomina nel 1968, quando divenne presidente. D’altro canto, Al Gore ottenne la nomina democratica nel 2000, fu battuto da George W. Bush e non si ricandidò più. Similmente, John F. Kerry ottenne la nomina democratica nel 2004, ma non si ricandidò del 2008. Solo chi si ritira presto, perché capisce in tempo che non può farcela, può tentare di nuovo, soprattutto se riesce a non indebitarsi troppo. Per esempio il repubblicano John McCain corse nel 2000, quando venne battuto da Bush, e si ricandidò nel 2008, quando riuscì ad ottenne la nomina. Il democratico John Edwards si candidò sia nel 2004 che nel 2008. E ancora il repubblicano Mitt Romney corse nel 2008, ma si ritirò in tempo, battuto da McCain, per ricandidarsi e ottenere la nomina nel 2012.

La sequenzializzazione delle primarie presidenziali, in definitiva, costringe i candidati a scommettere tutto sull’unica concreta possibilità di successo concessa loro dalla vita. Alla fine tanti personaggi di alto profilo sono costretti a farsi da parte. Magari continueranno la vita politica come rappresentanti o senatori al Congresso, ma non avranno mai più un’altra vera chance di correre per la presidenza. Questa proprietà “vinci o muori” della sequenzializzazione impedisce che si ripresentino in continuazione gli stessi candidati e favorisce il ricambio e l’emergere di volti nuovi.

La maratona delle primarie piega subito qualunque candidato non goda del consenso necessario, anche nel caso in cui disponga di risorse finanziarie proprie. Al proposito, è emblematico il caso del miliardario Steve Forbes, che corse per la nomina repubblicana nel 1996 e nel 2000. Nonostante le sue grandi ricchezze non riuscì ad andare oltre due vittorie nelle primarie del 1996. Il cammino può risultare molto agevole, invece, per il candidato che fa breccia tra la gente. Tutti gli ostacoli sulla sua strada si appianano, i contributi finanziari fluiscono senza essere richiesti e a un tratto il candidato si trova proiettato ai vertici della politica del paese. Di solito, i candidati deboli si ritirano relativamente presto, soprattutto per difficoltà finanziarie, e appoggiano un candidato che ha maggiori possibilità di vincere. La capacità di raccogliere fondi in quantità sufficiente è la prima indicazione concreta che può far capire al candidato, meglio di qualunque sondaggio, quali e quante siano le sue vere possibilità di arrivare in fondo e magari vincere la nomina. Molti candidati si fermano appena in tempo per scongiurare il rischio di passare anni a ripagare i debiti.

La prima fase della sequenza è la fase della competizione vera e propria, anche molto accesa, tra i contendenti. I candidati alla nomina si misurano senza esclusione di colpi, e ogni momento della loro vita passata viene vagliato pubblicamente. Uscire indenne da queste prove è il primo passo verso la nomina. La fase centrale della sequenza è quella in cui si materializza l’identità del vincitore. Ciò accade, in genere, durante il mese di marzo o all’inizio di aprile. L’ultima fase è quella della consacrazione del vincitore. Il candidato favorito dal popolo emerge, stacca gli avversari, riceve la loro investitura man mano che essi si ritirano dalla competizione. Le rimanenti primarie diventano plebisciti a suo favore. Tipicamente, alla convention nazionale il vincitore riceve più del 95% dei voti dei delegati, perché di solito votano per lui anche i superdelegati e i delegati di tutti i candidati ritiratisi nel frattempo. La sequenzializzazione delle primarie favorisce dunque la coesione degli elettori e del partito attorno al leader scelto dagli elettori, che riceve l’investitura e la forza necessarie per affrontare le elezioni generali contro il partito avversario.

La sequenzializzazione delle primarie è un efficace meccanismo per fare emergere il candidato voluto dal popolo, la persona che gode del maggior consenso, colui ha maggiori probabilità di battere l’avversario nelle successive elezioni generali e ha le qualità migliori per guidare il paese. Inoltre, il meccanismo è per certi versi anche in grado di “produrre” persone con le qualità richieste. Infatti, anche se un candidato alla nomina parte da una posizione di relativa inesperienza politica, durante due anni di campagna elettorale forsennata, passati a recarsi in tutti gli angoli del paese, a tenere comizi e incontrare più persone possibile per convincerle a donare dei soldi, dopo una stagione di primarie che dura sei mesi, una convention che, tra preparativi, insediamento e lavori, occupa altri due mesi, e infine una campagna elettorale per le elezioni generali di altri due mesi, il vincitore cresce, acquista le conoscenze e le capacità necessarie, diventa il leader di cui il paese ha bisogno nei quattro anni successivi. In altre parole, il meccanismo fatto ci primarie e convention è anche una formidabile “scuola” di politica, tanto per i candidati, quanto per gli elettori.

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