Finanziamenti e costi delle primarie e delle elezioni generali
Le leggi sui finanziamenti pubblici delle primarie e delle elezioni generali [59] furono approvate tra il 1971 e il 1974. Prima di quella data la legislazione in materia non si occupava del processo di selezione dei candidati, ma solo delle elezioni generali. Anzi, molte persone nutrivano dubbi sulla costituzionalità di iniziative legislative tese a regolamentare le spese e i finanziamenti per le attività interne dei partiti. Quei dubbi furono superati dopo una serie di pronunciamenti della Corte Suprema tra il 1975 e il 1976. La legge stabiliva che se un candidato riusciva a raccogliere 5mila dollari o più in ciascuno di almeno 20 stati aveva diritto ai fondi pubblici per la campagna elettorale delle primarie nella misura di un dollaro di finanziamento pubblico per ogni dollaro di donazioni raccolto autonomamente, fino a un massimo di 250 dollari per donatore. Anche se un cittadino donava più di 250 dollari, non più di 250 potevano essere contati per il calcolo dei fondi pubblici. Queste norme rimasero invariate fino ad oggi e valgono tuttora.
La legge prevede anche un tetto alle donazioni individuali. Secondo la formulazione del 1974 nessun cittadino poteva donare più di 1000 dollari a candidato, per tornata elettorale. Rimasto invariato per quasi trent’anni, il tetto alle donazioni individuali fu aumentato soltanto nel 2002, quando fu portato a 2000 dollari e adeguato all’aumento del costo della vita. Nel 2007 il limite alle donazioni individuali era pari a 2300 dollari, nel 2012 salì a 2500 dollari.
In terzo luogo, la legge stabilisce tetti massimi di spesa per i singoli candidati, se accettano i finanziamenti pubblici, nel qual caso sono obbligati a documentare le proprie entrate e uscite nei minimi particolari. Nel 1974 il limite di spesa per la campagna delle primarie era 10 milioni e successivamente fu adeguato all’aumento del costo della vita. Nel 2004 arrivò a 37,3 milioni di dollari, nel 2008 a 42 milioni, nel 2012 a 45,6 milioni. Sono previsti anche tetti di spesa per le campagne elettorali nei singoli stati. Infine, un candidato che accetta i fondi pubblici può donare a se stesso al massimo 50mila dollari.
La legge del 1974 creò anche la Federal Election Commission (FEC), la commissione federale che effettua la distribuzione dei fondi pubblici, e verifica l’applicazione della legge nelle campagne elettorali, in materia di finanziamenti.
Inizialmente, la legge prevedeva restrizioni di spesa per tutti i candidati, anche coloro che non chiedevano i finanziamenti pubblici, ma nel 1976 la Corte Suprema stabilì che indiscriminati limiti di spesa sono incostituzionali, perché violano il primo emendamento alla Costituzione. Tuttavia, secondo la Corte il Congresso può imporre limiti a chi accetta i fondi pubblici [60]. Questi limiti non violano il primo emendamento perché nessuno è obbligato ad accettare i fondi pubblici. Inoltre, nel 1975 la Corte Suprema stabilì che donare soldi è una forma di libera espressione, protetta dal primo emendamento alla Costituzione.
La legge prevede anche fondi pubblici e limiti di spesa per le convention e le altre attività dei partiti.
I finanziamenti pubblici per le convention e le campagne elettorali delle primarie e delle elezioni generali provengono da versamenti volontari dei contribuenti, i quali, al momento della dichiarazione dei redditi, possono destinare una parte delle loro imposte (tre dollari a testa) a questo tipo di finalità, apponendo una crocetta in un apposito spazio sulla dichiarazione. L’utilizzo di questa opzione non aumenta né diminuisce l’ammontare delle imposte dovute. In ciascuno degli ultimi 5 anni circa 33 milioni di contribuenti scelsero questa opzione.
Il limite massimo di 50mila dollari all’autofinanziamento del candidato impedisce ai candidati provenienti da famiglie facoltose di impiegare le loro ricchezze per avere un vantaggio sugli avversari. Il limite massimo di 1000 dollari, poi aumentato fino a 2500, sui contributi individuali è fissato per impedire a pochi ricchi di pagare la campagna elettorale di un candidato. In virtù di questo limite, ogni candidato è costretto a chiedere sostegno economico a un numero elevato di privati cittadini, inclusi coloro che hanno disponibilità economiche modeste. Le soglie da raggiungere per ottenere i fondi pubblici non sono particolarmente elevate, ma bastano a tagliar fuori tutti i candidati che non scendono in campo sufficientemente convinti e agguerriti. Per agevolare la raccolta di finanziamenti, in genere i candidati anticipano la discesa in campo e la campagna elettorale delle primarie. L’andamento della raccolta di fondi fornisce il primo riscontro diretto e oggettivo dell’efficacia del messaggio di un candidato, e la prima misura delle sue reali possibilità di ottenere la nomina e magari vincere le elezioni.
Per quanto riguarda le elezioni generali, la legge prevede che i candidati dei partiti maggiori possano ricevere un ulteriore finanziamento pubblico, pari al doppio del tetto di spesa stabilito per le primarie: 75 milioni di dollari nel 2004, 84 milioni nel 2008 e 91 milioni nel 2012 (erano 20 milioni nel 1974). In cambio, i candidati devono rinunciare a qualunque forma privata di finanziamento a partire dal momento in cui ottengono la nomina del loro partito, rispettare il limite di spesa (pari all’ammontare dei finanziamenti pubblici ricevuti) e documentare tutte le loro entrate e uscite. Anche questi finanziamenti pubblici provengono dai fondi devoluti dai contribuenti col sistema descritto sopra. Il candidato può inoltre attingere a risorse proprie fino a un massimo di 50 mila dollari.
Un candidato può decidere di non richiedere i fondi pubblici, alle primarie, alle elezioni generali, o a tutte e due. Questa scelta libera i candidati dai limiti di spesa. Alle volte, rinunciare ai fondi pubblici nelle primarie può essere più conveniente che accettarli. Bob Dole nel 1996 accettò i fondi pubblici, ma per battere il miliardario Steve Forbes si trovò costretto a spendere troppo durante le primarie. Questo lo penalizzò durante la campagna presidenziale contro Clinton. Pertanto, i candidati che pensano di raccogliere più soldi colle offerte individuali dei cittadini preferiscono rinunciare ai fondi pubblici per le primarie. George W. Bush vi rinunciò sia nel 2000 che nel 2004. Sempre nel 2004 vi rinunciarono anche i candidati democratici Howard Dean e John F. Kerry. Nel 2008 e nel 2012 rinunciarono tutti i candidati di spicco.
Rinunciando ai fondi pubblici per le primarie, un candidato ha tempo fino alla chiusura della convention per raccogliere e spendere senza limiti. Se poi però accetta i fondi pubblici per le elezioni generali, deve rinunciare alle donazioni e limitarsi a spendere quelli, più quello che gli è rimasto in cassa dalle primarie. Fino al 2004 queste risorse furono ritenute sufficienti per il prosieguo della campagna elettorale e quindi i candidati accettarono i fondi pubblici per le elezioni generali, dopo aver rinunciato ai fondi pubblici per le primarie. In quell’anno George W. Bush raccolse circa 347 milioni di dollari (includendo i 75 milioni di fondi pubblici per le elezioni generali) e ne spese 315, mentre Kerry raccolse 324 milioni e ne spese 259 [61]. Queste cifre furono da tre a cinque volte superiori alle cifre raccolte e spese quattro anni prima.
Tuttavia, nel 2008 Barack Obama capì che gli conveniva rinunciare a tutti i tipi di fondi pubblici, anche quelli per le elezioni generali, convinto di poter raccogliere molto di più dalle donazioni spontanee dei cittadini. I risultati gli diedero ragione, e in totale accumulò 640 milioni. Invece McCain non ebbe altrettanto coraggio. Rinunciò ai fondi pubblici per le primarie, ma accettò quelli per le elezioni generali (84 milioni). In totale riuscì ad accumulare 444 milioni, quasi 200 in meno di Obama. Da notare che se un candidato avesse deciso di accettare i fondi pubblici sia per le primarie che per le elezioni generali avrebbe automaticamente accettato un limite di spesa totale pari a 126 milioni di dollari, una somma irrisoria rispetto a quelle raccolte sotto forma di donazioni.
In definitiva, i candidati si convinsero sempre di più che il finanziamento pubblico alla campagna elettorale non poteva competere con le raccolte di donazioni spontanee. Effettivamente, gli elettori sono estremamente generosi quando danno soldi a qualcuno che possono incontrare personalmente, a cui stringono la mano e con cui possono magari avere uno scambio di punti di vista. E soprattutto, qualcuno che si assume anche la responsabilità di garantire come verranno spesi quei soldi. Un tipo di donazione come questo è visto anche come una specie di finanziamento, perché i donatori sanno che il candidato sosterrà i loro interessi e spenderà i soldi per le battaglie in cui credono. Invece, sono molto meno generosi quando si tratta di donare soldi a un indistinto “partito” o gruppo di persone dove nessuno ha il coraggio di “metterci la faccia”.
Qualunque privato cittadino o associazione ha il diritto di spendere soldi propri per fare campagna elettorale per un candidato, o contro un candidato, senza essere soggetto ad alcun limite di spesa. Queste iniziative devono però essere spontanee e non avere alcuna coordinazione colle campagne organizzate dai candidati. Il compito di controllare che sia effettivamente così è della FEC, che può comminare sanzioni a chi viola le norme. In particolare, si distinguono i PAC (political action committees), organizzazioni che fanno liberamente campagna elettorale a favore o contro uno o più candidati, oppure conducono battaglie politiche proprie, per esempio per favorire o contrastare iniziative legislative specifiche. Se i PAC intendono versare contributi economici direttamente ai candidati, sono soggetti a una serie di vincoli. Per esempio, non possono donare più di 5000 dollari a candidato e ricevere più di 5000 dollari all’anno dallo stesso donatore [62]. Se non danno contributi ai candidati, ai partiti o ad altri PAC, queste organizzazioni sono chiamate “super PAC” e possono raccogliere donazioni senza limiti.
Tipicamente, queste associazioni sono create per portare avanti battaglie specifiche, non per raccogliere fondi per sostenere candidati particolari. Possono appoggiare un candidato, per esempio finanziando spot su canali televisivi locali e nazionali, se ritengono che questo sia un mezzo utile a promuovere le loro idee. Le iniziative di queste associazioni possono creare parecchio imbarazzo al candidato e scompigliare le sue delicate strategie elettorali. Per esempio, spesso danno agli elettori la percezione che il candidato sia troppo moderato, o estremista, troppo spostato verso questo o quel versante politico, e così via, quando magari il candidato sta lavorando alacremente per dare l’impressione esattamente opposta. Il candidato può al massimo dichiarare pubblicamente di prendere le distanze dai metodi e dal linguaggio usato negli spot commissionati dalle associazioni, ma non ha il diritto di impedire loro di esprimersi come meglio credono.
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