1980: l’affermazione di Reagan

Nelle primarie del 1980 un altro candidato sfidò il presidente uscente, stavolta sul versante democratico. Si trattò di Ted Kennedy, che accusava Carter di scarsa capacità di leadership. Dotato di carisma e personalità, Kennedy non disponeva di una forte organizzazione. Nel caucus dell’Iowa Carter vinse col 59%, mentre Kennedy si fermò al 31%. Carter vinse anche le primarie del New Hampshire, staccando Kennedy del 10%. Kennedy conseguì alcune vittorie nella fase centrale della stagione e soprattutto nella fase finale. Conquistò molti delegati nello stato di New York e in California, ma non abbastanza per invertire la tendenza ormai favorevole a Carter. In totale, Carter prevalse in 23 stati, Kennedy in 10. Nel voto popolare complessivo, Carter totalizzò il 51%, Kennedy il 37%. Quando Kennedy capì di non poter strappare la nomina a Carter, lavorò per impedire anche a Carter di ottenerla.

Si ripropose, fortunatamente per l’ultima volta, una situazione già incontrata più volte nella nostra analisi storica, quella di un candidato che cerca di manovrare la convention per favorire se stesso o un candidato di compromesso, nonostante l’esito sfavorevole delle primarie. Tuttavia, i tempi erano ormai cambiati. Nel nuovo contesto, la battaglia di Kennedy non aveva speranze di riuscire. Carter disponeva di 315 delegati in più di quelli che gli servivano. Kennedy propose modifiche alla regola che vincolava i delegati giurati a votare per i candidati alla nomina a cui si erano impegnati. Nel 1980 il vincolo si applicava alla prima votazione per la nomina. I sostenitori delle proposte di modifica dichiararono che le condizioni politiche erano mutate dal momento in cui le dichiarazioni solenni di impegno erano state sottoscritte, qualche mese prima. I sostenitori di Carter risposero che il vincolo garantiva il rispetto della volontà popolare, e i delegati erano liberi di votare secondo coscienza su qualunque materia, tranne la nomina. Accusarono i sostenitori di Kennedy di strumentalizzare le regole soltanto perché usciti perdenti dalle primarie. Quel dibattito fu cruciale per il futuro del processo di nomina. Se la modifica proposta da Kennedy fosse passata, il processo di democratizzazione della nomina dei candidati avrebbe subito una clamorosa battuta d’arresto.

La convention fu quindi chiamata ad esprimersi. Ricordiamo che nella votazione i delegati non erano tenuti ad obbedire ai candidati alla nomina a cui si erano impegnati, ma potevano esprimersi secondo coscienza. Fortunatamente, la proposta fu rigettata. Subito dopo Kennedy si ritirò dalla competizione e Carter ottenne la nomina senza problemi. Il processo di nomina dei candidati rimase pertanto saldamente nelle mani del popolo.

Ted Kennedy fu uno degli ultimi candidati, nell’era delle primarie moderne, che credevano di poter sovvertire l’esito delle primarie durante la convention, l’ultimo che non si fece scrupoli a perseguire il suo disegno a costo di minare l’intero processo di evoluzione verso la democrazia popolare moderna e i partiti governati dagli elettori. L’unica cosa che gli riuscì fu di indebolire il proprio partito alle elezioni generali. Carter fece il possibile per riunire il partito, introducendo molte proposte di Kennedy nel documento programmatico, ma non bastò.

In quello stesso anno si confrontarono, per la nomina repubblicana, Ronald Reagan e George Bush. Bush, ex-direttore della CIA ed ex-presidente del comitato nazionale repubblicano, era il candidato favorito dall’establishment del partito. Il consenso da lui raccolto nell’Iowa e nelle altre primarie diede vita ad una battaglia molto combattuta tra i due. Bush irrideva alle proposte economiche di Reagan, che chiamava sprezzantemente “economia woodoo”. Fin dai primi dibattiti, però, Reagan si contraddistinse come un candidato valido. In totale, Reagan vinse 29 primarie su 34 e Bush 5. Nel voto popolare, Reagan ottenne il 61% dei voti, contro il 23% di Bush. La nomina di Reagan alla convention repubblicana non fu dunque in discussione. Reagan scelse lo stesso Bush come candidato videpresidente per ottenere l’appoggio dell’ala moderata e saldare così il partito dietro la sua guida in vista delle elezioni generali.

Contro i pronostici che prevedevano un testa a testa tra Carter e Reagan, alle elezioni generali Reagan trionfò, complici anche le divisioni del Partito Democratico.

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