1968: la transizione

I candidati che si affrontarono nelle primarie democratiche del 1968 combatterono soprattutto sul tema della guerra in Vietnam e sul tema dei diritti civili. Poiché i democratici occupavano la Casa Bianca, con Lyndon Johnson, la responsabilità della cattiva conduzione della guerra fu imputata a loro. Il partito era orientato a continuare la guerra, mentre il popolo, come vedremo, era di tutt’altro avviso. In quella occasione la scollatura tra rappresentanti e rappresentati si manifestò in maniera prepotente, ed ebbe conseguenze irreversibili sul processo di selezione dei candidati.

Il Partito Democratico annoverava ancora componenti segregazioniste. Per molto tempo in alcuni stati del sud negò la partecipazione agli afroamericani. Per esempio, nel Mississippi gli elettori di colore che si recavano a votare alle primarie venivano regolarmente respinti e la delegazione mandata alla convention nazionale doveva essere rigorosamente bianca. Tra il 1964 e il 1968 il tema dei diritti civili acquistò sempre maggiore risonanza. Nel 1964 elettori bianchi e neri del Mississippi crearono il Partito Democratico della libertà del Mississippi (Mississippi Freedom Democratic Party), che organizzò primarie alternative, aperte a tutti, per mandare provocatoriamente alla convention democratica una delegazione propria, e contestare la delegazione bianca ufficiale. L’iniziativa fallì, ma fu il primo passo di un movimento destinato a crescere che chiedeva riforme liberali e il riconoscimento dei diritti civili [29].

Johnson era subentrato a John F. Kennedy nel 1963, dopo il suo assassinio. Nel 1964 era stato rieletto per un intero mandato. In base al 22esimo emendamento della Costituzione poteva ricandidarsi per un terzo mandato, poiché il primo era durato meno di due anni. Solitamente, pochi candidati osavano sfidare un presidente uscente in corsa, dichiarata o meno, per la rielezione. Gli eventi del 1968, in particolare le proteste contro la guerra in Vietnam motivarono molte persone di spicco a scendere in campo comunque, per dare voce alle insistenti richieste di chiudere la brutta esperienza della guerra una volta per tutte.

Il primo sfidante che scese in campo contro il presidente in carica fu Eugene McCarthy, fortemente contrario alla guerra. Nelle primarie del New Hampshire ottenne un inaspettato secondo posto, col 42% dei voti, subito dietro a Johnson, che si attestò al 50% [30]. Il nome di Johnson non figurava ufficialmente sulle schede elettorali delle primarie, perché, come spiegato in precedenza, il presidente in carica aveva interesse a ritardare il più possibile l’annuncio della sua eventuale ricandidatura, per rendere difficile la discesa in campo di altri candidati. Tuttavia, nel New Hampshire Johnson si fece votare ugualmente mediante le righe bianche “write-in” presenti sulle schede elettorali. Il 50% ottenuto da Johnson può sembrare un risultato di tutto rispetto, ma spesso quello che conta nelle primarie sequenziali non è tanto vincere, quanto battere le aspettative. Chiaramente, da un presidente in carica ci si aspettava un successo molto più netto, per cui il risultato di McCarthy fu un colpo molto forte alle ambizioni di Johnson, foriero di altri risultati deludenti. Per evitare il peggio, il presidente uscente decise di rinunciare alla corsa per la ricandidatura. La rinuncia arrivò prima delle seconde primarie della stagione, quelle del Wisconsin, dove Johnson prevedeva una disfatta. L’exploit di McCarthy e la rinuncia di Johnson procurarono risonanza nazionale alle primarie del New Hampshire, e alle primarie in generale. Tuttavia, Johnson non fece il passo indietro senza un piano preciso. Prima di comunicare la sua rinuncia aspettò la scadenza dei termini ultimi per la presentazione delle candidature alle restanti primarie, per mettere i bastoni tra le ruote agli avversari. Inoltre, poiché la selezione di una frazione notevole di delegati era ancora sotto il controllo del partito, un presidente in carica poteva esercitare una grande influenza sulla scelta del suo successore. Johnson sperava di agevolare l’incoronazione del suo vicepresidente, Hubert H. Humphrey.

Soltanto in 15 stati i delegati erano scelti con le primarie. Nella maggior parte degli altri stati erano ancora scelti col sistema caucus-convention, facilmente soggetto al controllo dei capi del partito. In sei di questi le procedure di designazione cominciavano con un anticipo tale (l’anno precedente alla convention) da sfavorire qualunque candidato non godesse di forti appoggi all’interno del partito e avesse bisogno delle primarie per mettersi in luce. I boss di molte città erano in maggioranza dalla parte di Humphrey, che per anni aveva intessuto rapporti con loro e li aveva aiutati a sistemare funzionari di partito e segretari. Infine, in altri sei stati la designazione non passava attraverso alcun tipo di consultazione popolare: né primarie, né caucus-convention. In quattro di questi la delegazione era scelta dal comitato esecutivo del partito statale. Nei rimanenti due era scelta personalmente dal governatore. I comitati esecutivi del partito erano in carica da quattro anni, quindi riflettevano gli equilibri interni del partito che aveva nominato Johnson.

Tuttavia, ormai le primarie erano sotto i riflettori dei media di tutta la nazione. Ciò spinse nuovi candidati a entrare comunque in gara. Non avendo potuto rispettare i termini per candidarsi ufficialmente e far stampare il proprio nome sulle schede elettorali, anche i nuovi candidati sfruttarono la possibilità di farsi votare nella riga “write-in”. Così fece, per esempio, Robert F. Kennedy, un altro candidato fortemente contrario alla guerra in Vietnam. Humphrey annunciò la sua candidatura soltanto più tardi, in modo da evitare i rischiosi confronti diretti con i candidati contrari alla guerra. Non partecipò direttamente alle primarie, e vi ottenne solo voti “write-in”.

Nel Wisconsin McCarthy prevalse col 56% dei voti su Johnson (il cui nome non era stato ancora tolto dalla scheda elettorale), che ottenne il 35%, e Kennedy col 6%. McCarthy vinse anche in Pennsylvania, Massachusetts, Oregon, New Jersey e Illinois, precedendo Kennedy, il quale vinse nel Distretto di Columbia, Indiana, Nebraska, California e Dakota del sud. Nella notte del 5 giugno, subito dopo aver vinto in California, stato-chiave per numero di delegati, col 46% contro il 42% di McCarthy, Robert Kennedy fu colpito a fuoco da un attentatore. Morì la mattina successiva. L’evento gettò la competizione democratica e l’imminente convention nello scompiglio, anche perché Kennedy era l’unico candidato che aveva davvero la possibilità di battere Humphrey. La stagione delle primarie terminò con McCarthy al 39% del voto popolare, Kennedy al 31%, Johnson al 5% e Humphrey al 2%. Per via degli appoggi di cui godeva all’interno del Partito Democratico, dopo l’assassinio di Kennedy il favorito alla nomina era Humphrey.

Alla convention democratica le veci dello scomparso Kennedy furono fatte da George McGovern, affinché i voti dei delegati impegnati a sostenere Kennedy non andassero dispersi. Il vicepresidente Humphrey non era visto dal popolo con grande favore, perché le sue posizioni sulla guerra in Vietnam erano associate a quelle del presidente uscente Johnson. Gli esiti delle primarie confermarono senza ombra di dubbio che il popolo voleva chiudere la brutta esperienza della guerra in Vietnam. Dopo la morte di Kennedy solo McCarthy e McGovern potevano dare voce a quella pressante richiesta. A Chicago, dove si svolgeva la convention democratica, giunsero numerosi attivisti per i diritti civili, e manifestarono contro la guerra in Vietnam. Sostenevano che il processo di nomina dei delegati non era trasparente, non dava agli elettori democratici piena ed effettiva possibilità di parteciparvi e non rifletteva la volontà popolare. Quasi 40mila uomini, tra forze di polizia a vari livelli e agenti segreti furono dispiegati per affrontare la situazione. Le fazioni di delegati alla convention che rispondevano a McCarthy e McGovern erano minoritarie. I sostenitori di McCarthy sfidarono la fazione di Humphrey su varie questioni, dalle credenziali, alle regole, al documento programmatico, fino alla nomina. Furono avanzate 17 contestazioni sulla composizione delle delegazioni di 15 stati. Uno degli effetti delle contestazioni fu la sostituzione della delegazione che rispondeva alla fazione segregazionista e conservatrice del Mississippi. Le forze di McCarthy e McGovern ottennero anche l’abolizione della “norma dell’unità” (unit rule), la regola che imponeva alle delegazioni di alcuni stati di votare compattamente per il candidato che godeva del consenso della maggioranza relativa della delegazione stessa. Inoltre, ottennero che a partire dal 1972 il processo di selezione dei delegati fosse reso pubblico e avvenisse interamente nell’anno solare della convention.

Per rispondere al proliferare delle contestazioni sulle credenziali, cioè sulla composizione delle delegazioni, e anche per dare un segnale ai movimentisti che manifestavano per le strade di Chicago, la convention approvò una risoluzione che conteneva la raccomandazione che, a partire dalla convention successiva, in tutti gli stati dell’Unione fosse garantita ad ogni elettore democratico l’opportunità di partecipare alla selezione dei delegati in modo significativo. Inoltre, istituì due commissioni speciali, la commissione per le regole e la commissione per la struttura del partito e la selezione dei delegati. La prima aveva il compito di stabilire le regole della convention stessa, la seconda quelle del processo di selezione dei delegati. Prima delle riforme che sarebbero state prodotte da queste due commissioni, le regole nazionali che governavano la convention e la selezione dei delegati erano poche e limitate, ogni questione essendo rimandata direttamente alla convention.

Le contestazioni per le strade di Chicago proseguivano da tre giorni. Durante la terza giornata scoppiarono i tafferugli più violenti, mentre i delegati stavano votando per la nomina. Le forze dell’ordine risposero con l’uso della forza. Il paese fu scioccato dalle immagini trasmesse dalla televisione, della polizia che avanzava verso i dimostranti e picchiava i cittadini. Il bilancio finale degli scontri fu di quasi 600 arrestati e due centinaia di feriti, un centinaio tra le forze di polizia e un altro centinaio tra i dimostranti. I dimostranti attribuirono la responsabilità dell’uso della forza all’amministrazione Johnson. Alla convention, gli avversari di Johnson e Humphrey denunciarono l’uso di “tattiche da Gestapo per le strade di Chicago” [31]. La convention visse momenti di grande confusione. Le forze di McGovern e McCarthy chiesero invano un aggiornamento di due settimane, ma Humphrey ottenne la nomina alla prima votazione. La convention procedette con la discussione sul documento programmatico e si infiammò ancora sul tema della guerra in Vietnam. Alla fine il documento programmatico del Partito Democratico contenne l’auspicio che l’America proseguisse con continuità il proprio impegno nella guerra in Vietnam. Chiedeva anche che venisse prestata la dovuta attenzione alla questione delle primarie nazionali per la scelta del candidato alla presidenza.

Le elezioni primarie repubblicane del 1968 videro Richard Nixon prevalere quasi ovunque, ma uno sfidante promettente, Ronald Reagan, vinse i delegati della popolosa California, suo stato di provenienza. Nel computo del voto popolare, i due contendenti finirono praticamente alla pari: 37,9% per Reagan e 37,5% per Nixon. Soltanto due giorni prima delle votazioni alla convention, Reagan abbandonò il suo status di “favorite son” della California, per partecipare attivamente alla competizione per la nomina. I tre candidati più forti erano Nixon, Reagan e Nelson Rockefeller, col primo favorito. La fazione liberale di Rockefeller e quella più conservatrice di Reagan non riuscirono a raggiungere un accordo per fermare Nixon, il quale infatti ottenne la nomina alla prima votazione. A differenza dei democratici, i repubblicani approvarono un documento programmatico che esortava a una riduzione degli sforzi americani nella guerra in Vietnam.

Le elezioni del 1968 furono vinte da Nixon con un margine risicato nel voto popolare (meno dell’1%), ma molto grande nel computo dei grandi elettori. Vari stati del sud furono vinti dal candidato segregazionista indipendente George Wallace.

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