Le candidature
Nelle primarie gli elettori potevano votare per i candidati alla nomina, per i delegati alla convention, o per entrambi. Le modalità di presentazione delle candidature variavano da stato a stato. Cominciamo col descrivere la presentazione delle candidature alla nomina. Alcuni stati chiedevano agli aspiranti candidati soltanto di presentare una dichiarazione formale di candidatura, eventualmente accompagnata dal pagamento di una certa somma in denaro. Altri stati permettevano ai cittadini di candidare persone senza il loro esplicito consenso. In quel caso i sostenitori che volevano candidare una persona alla nomina dovevano presentare una domanda di candidatura e allegare un certo numero di firme a sostegno della stessa. In altri stati ancora erano permesse entrambe le procedure, cioè sia l’autocandidatura, sia la candidatura da parte di terzi. Il numero minimo di firme, ove richieste, era fissato a priori, oppure determinato come una percentuale del numero di elettori che si erano recati a votare nelle elezioni precedenti. Di solito, le firme erano raccolte dai sostenitori locali del candidato, in riunioni e convention informali organizzate appositamente. In alcuni stati, infine, le candidature dovevano o potevano essere presentate dal comitato statale del partito.
è importante sottolineare che non sempre erano i candidati a “candidarsi”. Spesso erano gli elettori a candidare spontaneamente le persone che volevano votare. In alcuni stati, cioè, non occorreva il consenso preventivo dei candidati alla nomina per inserire i loro nomi sulle schede elettorali. Un nome veniva rimosso se e soltanto se il candidato ne faceva formale richiesta. Permettere agli elettori di votare chiunque desiderino, anche chi non si candida ufficialmente, è coerente con lo spirito di apertura delle primarie: è infatti diritto dei cittadini riunirsi, associarsi, e quindi anche consultarsi in merito ai candidati che intendono votare alle elezioni, che questi siano interessati o meno. Tuttavia, una fazione poteva candidare artificialmente un numero elevato di esponenti delle fazioni avversarie con il solo scopo di dividere i voti dei rivali, per cui di solito si garantiva a chiunque il diritto a far rimuovere il suo nome dalle schede elettorali.
Spesso l’elettore aveva una possibilità ulteriore, quella di votare candidati di sua scelta, non contenuti nella lista dei candidati ufficiali elencati sulla scheda elettorale. A questo scopo, in alcuni stati le schede elettorali contenevano apposite righe bianche, dette write-in (“inserisci per iscritto”, “scrivi dentro”), nelle quali l’elettore poteva scrivere di suo pugno i nomi dei candidati alternativi che preferiva. Quei voti erano conteggiati al pari degli altri. La riga bianca “write-in” poteva essere utilizzata anche dai candidati che, per qualche motivo (come ritardi o irregolarità nella presentazione delle firme) erano stati esclusi dalla lista dei candidati ufficiali.
Per quanto riguarda, invece, la modalità di presentazione delle candidature a delegato, la maggior parte degli stati richiedeva una raccolta di firme a sostegno, mentre altri stati accettavano anche una semplice dichiarazione di candidatura da parte dell’aspirante candidato. Spesso, le liste di candidati delegati da elencare sulle schede elettorali erano compilate in assemblee e convention pre-primarie non ufficiali, o riunioni di leader di partito e rappresentanti eletti. Altre volte i comitati elettorali dei candidati alla nomina venivano autorizzati a redigere le proprie liste dei candidati delegati impegnati a sostenerli.
In alcuni casi il comitato statale del partito usava indire un’apposita convention non ufficiale pre-primarie, per prendere posizione a sostegno di un particolare candidato alla nomina, o di gruppi particolari di delegati. Questa pratica creò allarme tra i difensori delle primarie, che volevano garantire ai cittadini la possibilità di votare nella più assoluta tranquillità, senza essere soggetti all’influenza degli apparati, e videro il rischio di un ritorno ai metodi del sistema caucus-convention. In alcuni casi i tentativi di dare investiture partitiche a candidati particolari furono fermati con successo, in altri casi no. In genere, i candidati che ottenevano le investiture partitiche erano favoriti sugli altri, e prevalevano nelle primarie. Tuttavia, un partito che prendeva una posizione definita a favore di un candidato rischiava di arrivare diviso alle elezioni generali, dando un vantaggio agli avversari. Inoltre, la convocazione delle convention pre-primarie rappresentava una spesa difficile da giustificare di fronte all’opinione pubblica. Per questi motivi la pratica non si diffuse e così sparirono anche le obiezioni alla stessa. Investiture provenienti da associazioni indipendenti di cittadini, invece, non suscitarono mai nessuna obiezione e sono pratica comune ancora oggi.
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