L’era progressista
Le tensioni sociali accumulate in quegli anni avrebbero potuto avere conseguenze drammatiche. All’inizio del ventesimo secolo si affermò un movimento, detto “progressista” (progressive), che contribuì a superare il momento delicato. Il movimento progressista si fece promotore di una serie di riforme che ebbero un impatto notevole sulla società e cambiarono profondamente la democrazia americana, al punto che quegli anni passarono alla storia come l’era progressista.
I progressisti provenivano da classi sociali medioalte ed erano in gran parte conservatori. Contavano sostenitori in entrambi i partiti politici e godevano dell’appoggio della classe media, di molti lavoratori e datori di lavoro, e spesso anche dei sindacati. Parecchi uomini d’affari accorti si resero conto che lo scontento diffuso tra i lavoratori e le fasce più povere della popolazione non poteva più essere ignorato. Appoggiarono le riforme proposte dai progressisti, nonostante fossero costose per la loro classe sociale, perché capirono che erano un prezzo in fondo ragionevole da pagare per scongiurare rischi ben peggiori.
I progressisti si fecero promotori di molte riforme, a livello locale, statale e nazionale, orientate a dare più voce al popolo nel processo democratico e a rompere le oligarchie che permettevano ai pochi di ribaltare la volontà dei molti. Al referendum, la legge di iniziativa popolare e il “recall”, già proposti dai populisti, aggiunsero le primarie dirette per le elezioni presidenziali. I progressisti ritenevano fondamentale la questione del governo popolare dei partiti, da realizzare mediante l’elezione diretta dei delegati alla convention nazionale, superando il sistema a molti livelli caucus-convention e dando agli elettori l’opportunità di esprimere la loro preferenza per il candidato presidente e il candidato vicepresidente.
Molti repubblicani e democratici si riconobbero nel movimento progressista. Dichiarando pubblicamente la loro appartenenza al movimento, permettevano agli elettori di “votare progressista”, anche in assenza di un vero “partito progressista”. Alle volte, in alcuni stati l’insieme dei rappresentanti progressisti ai parlamenti statali riusciva a totalizzare la maggioranza assoluta dei deputati e senatori. Quegli stati, detti “stati progressisti”, furono in grado di approvare le riforme con una rapidità inusuale. Tra le altre cose, gli stati progressisti furono i primi a sperimentare le primarie presidenziali. La forza del movimento consisteva nel fatto che non aveva bisogno di un radicamento e un’organizzazione propri, anzi riusciva ad ottenere maggioranze assolute senza presentarsi alle elezioni come partito autonomo, ma come componente di entrambi i partiti maggiori, sfruttandone le risorse e il consenso.
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