1842: le prime primarie della storia

Il primo esempio di consultazione popolare diretta per la designazione dei candidati di un partito risale al 1842 e lo si deve alla contea Crawford della Pennsylvania [9]. In quegli anni la contea era dominata dai democratici, che però alle volte rischiavano di dividersi e favorire gli avversari, i whig. La scarsa trasparenza del sistema caucus-convention dava adito a contestazioni sui metodi di selezione dei delegati e sulle procedure di voto alla convention, che spesso sfociavano in scissioni. Gruppi di delegati democratici abbandonavano le convention per riunirsi altrove e designare candidati alternativi, che poi entravano in competizione e favorivano il candidato whig. Per correre ai ripari, i democratici cercarono metodi di designazione alternativi, che evitassero, o almeno riducessero, i rischi di frazionamento e le lotte interne. La soluzione trovata fu quella delle elezioni primarie dirette.

Il 22 febbraio 1842, a Meadville, la capitale della contea, si riunì un’assemblea di democratici con lo scopo di riformare il metodo di selezione dei candidati. L’assemblea non portò a conclusioni soddisfacenti, e i leader convocarono un’altra assemblea a livello di contea. La seconda assemblea fu invece decisiva e deliberò che la selezione dei candidati sarebbe avvenuta consultando direttamente gli elettori [10].

Le procedure [11], elaborate da tale George Shellito, residente nella città di Sadsbury, prevedevano che in ciascuna città della contea fosse convocato un raduno di tutti gli elettori democratici, della durata di tre ore, nel quale si sarebbero votati i candidati alle cariche pubbliche locali. Ciascun raduno doveva essere presieduto da un responsabile, con il compito di tabulare i risultati del voto e comunicarli alla convention di contea che si sarebbe riunita pochi giorni dopo. Chi intendeva candidarsi doveva annunciare la propria candidatura ai giornali locali almeno tre settimane prima dei raduni e dichiarare preventivamente che avrebbe sostenuto colui che sarebbe stato nominato dalla convention, chiunque fosse.

I raduni si tennero un venerdì pomeriggio, a circa un mese dalle elezioni generali. L’affluenza degli elettori fu giudicata soddisfacente. La convention di contea, il lunedì successivo, si limitò a sommare i voti che i candidati avevano raccolto nei raduni. Per ciascuna carica pubblica fu nominato candidato chi ottenne la maggioranza relativa dei consensi.

Il sistema della contea Crawford riuscì effettivamente a ridurre la litigiosità interna e i rischi di scissione. Chi perdeva non era più turbato dal sospetto, spesso fondato, di oscure manovre ai suoi danni. Si arrendeva più volentieri al giudizio popolare che al giudizio dei leader di partito o di convention controllate dai leader di partito. Inoltre, il vincitore sapeva di godere del sostegno del partito e poteva concentrare la campagna elettorale unicamente contro gli avversari politici.

Nei sette anni successivi il piano Shellito fu adottato in altre contee della Pennsylvania e in un certo numero di altri stati, anche se non mancarono le resistenze. Molti leader di partito capivano che il nuovo sistema metteva in discussione il loro potere. Gli altri ostacoli erano invece di tipo oggettivo. Per esempio, occorreva garantire la regolarità del voto, per prevenire contestazioni e accuse di brogli. Inoltre, le difficoltà di comunicazione e di spostamento della prima metà del 1800 favorivano la partecipazione degli elettori residenti nelle aree urbane, a svantaggio degli elettori residenti nelle zone rurali, dove organizzare le primarie era più difficile e costoso. Nel primo esperimento della contea Crawford un numero eccessivo di candidati nominati provenivano da Meadville. La reazione delle popolazioni delle zone rurali spinse i democratici di Crawford ad abbandonare il sistema nel 1850. Tuttavia, nel 1860 il piano Shellito fu adottato dal Partito Repubblicano.

I problemi che emersero in questa fase sono i problemi tipici di tutte le primarie e le soluzioni proposte fecero scuola. Per prima cosa, occorre stabilire chi ammettere al voto. Anche oggi le primarie possono essere più o meno aperte alla partecipazione degli elettori degli altri partiti, e ciascuna realtà locale si regola come crede. Le primarie chiuse danno ragione a coloro che sostengono che solo gli elettori del partito devono decidere per il partito. Le primarie aperte danno ragione a coloro che sostengono che più elettori sono invogliati a partecipare e meglio è, per incrementare il consenso in vista delle elezioni generali.

In mancanza di una legislazione in materia, le prime primarie furono ovviamente organizzate e gestite autonomamente dai partiti. Erano quindi i partiti a dover garantire il regolare svolgimento delle consultazioni. Un problema serio era decidere come e a chi affidare materialmente lo spoglio dei voti e permettere controlli incrociati da parte dei rappresentanti delle diverse fazioni del partito. Spesso gli scontenti contestavano le procedure, chiedevano, inutilmente, riconteggi o ripetizioni del voto, e usavano questi argomenti per attaccare il sistema delle primarie nella speranza di tornare al sistema precedente. Alcuni politici cercarono di alimentare il sospetto che il voto fosse truccato, che le primarie autogestite fossero manipolate e favorissero gli intrighi e le macchinazioni, invece che contenerli. Inoltre, spesso in questa fase storica, le primarie erano utilizzate da un solo partito, quello dominante, mentre gli altri partiti utilizzavano i sistemi precedenti. Gli avversari delle primarie non perdevano occasione per enfatizzare e strumentalizzare le inevitabili difficoltà incontrate lungo la strada. Lo scetticismo attorno al sistema inventato dalla contea Crawford era destinato a durare qualche decennio.

Col tempo, le primarie autogestite sarebbero state abbandonate a favore di primarie gestite delle amministrazioni pubbliche, nella fattispecie quelle statali, e regolamentate da leggi precise. Molti dei problemi elencati finora trovarono soluzione. Affidando l’organizzazione a terzi si garantiva l’imparzialità delle procedure elettorali e si eliminavano i sospetti di brogli e manipolazioni dei risultati. Dal punto di vista dei partiti, la gestione pubblica delle consultazioni rappresentò un vantaggio economico notevole, perché faceva gravare i costi sul denaro dei contribuenti invece che sulle casse dei partiti. Veniva superato, almeno parzialmente, anche il problema di coinvolgere tutte le aree geografiche, anche quelle più povere, per non avvantaggiare le concentrazioni urbane maggiori. Tuttavia, alle volte l’amministrazione pubblica, nel momento in cui organizza, gestisce e finanzia le primarie, può arrivare a invadere, volontariamente o meno, le competenze dei partiti, stabilendo come le consultazioni debbano essere svolte, con quali regole, se debbano essere aperte o chiuse, quali voti debbano essere contati, come assegnare i delegati, eccetera. Per questo motivo ancora oggi in alcuni stati i partiti tengono primarie autogestite.

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