Evoluzione della convention nazionale
Nel 1832 la regola dei due terzi fu adottata dalla convention democratica per enfatizzare l’appoggio di cui godeva il presidente uscente Andrew Jackson. Tuttavia, in situazioni normali quella regola rende molto più faticoso il raggiungimeno del consenso necessario e spesso richiede votazioni a ripetizione. Nonostante i limiti di questo metodo, il Partito Democratico la conservò per circa un secolo, soprattutto nell’interesse degli stati del sud, che furono a lungo la roccaforte del Partito Democratico. La regola dei due terzi permetteva a quegli stati di conservare una specie di diritto di veto sul candidato nominato dal partito. Quegli stati temevano che, con la regola della maggioranza assoluta, i candidati del nord e dell’ovest sarebbero riusciti facilmente a marginalizzarli. La regola dei due terzi fu abolita dalla convention del 1936, con effetto a partire dalla convention successiva.
A parte gli antimassonici, che nel 1831 usarono la regola dei tre quarti, gli altri partiti, in particolare il Partito Repubblicano, adottarono fin da subito la regola della maggioranza assoluta.
Il primo documento programmatico dei democratici fu approvato dalla convention del 1840. Dichiarava, tra le altre cose, che la Costituzione va interpretata in senso stretto, i poteri del governo federale devono essere limitati e non devono interferire con i diritti degli stati, criticava la causa abolizionista e paventava l’esplosione del problema della schiavitù. La convention democratica del 1848 fu la prima a designare un comitato nazionale, composto di un membro per ogni stato dell’Unione. Il comitato nazionale è il comitato incaricato di sbrigare gli affari del partito e attuare le disposizioni della convention nel periodo che intercorre tra l’aggiornamento della convention e la convention successiva.
Alle volte fazioni del partito in lotta l’una contro l’altra mandavano alla convention nazionale delegazioni diverse provenienti dallo stesso stato e ciascuna reclamava di essere quella legittima. Appena riunite, le convention dovevano dirimere questo tipo di controversie, verificando la legittimità delle delegazioni inviate dagli stati, la loro composizione e rappresentatività. Altre volte gli stati inviavano più delegati dei voti che avevano a disposizione, per dare un posto ad ogni importante leader di partito. Nella convention democratica del 1848 fallì un tentativo di ridurre il numero di delegati al numero di voti esprimibili. Nel 1852 il numero dei delegati fu raddoppiato, ma il numero di voti esprimibili da ciascuno stato rimase invariato, uguale al numero dei grandi elettori dello stato. Si introdusse cioè il voto frazionario, usato ancora oggi in casi eccezionali. Lo schema del 1852 rimase in vigore per due decadi.
Alle volte, per tentare di sbloccare le situazioni di stallo dovute alla regola dei due terzi, che costringevano a ripetere le votazioni ad oltranza, si inserivano nuovi candidati tra una votazione e l’altra. Se questi vincevano inaspettatamente venivano chiamati dark horse (“cavallo scuro”), espressione presa dalle corse di cavalli, che indica un cavallo che vince inaspettatamente la gara. I primi due dark horse della storia furono James K. Polk, che nel 1844 fu inserito nella lista dei candidati ed eletto alla nona votazione, e Franklin Pierce, che nel 1852 fu inserito dopo 34 votazioni andate a vuoto ed eletto alla 49esima votazione. Sia Polk che Pierce poi vinsero le elezioni generali e diventarono presidenti. Spesso il “dark horse” è un candidato di compromesso. Situazioni di stallo simili si ripeterono spesso nella storia del Partito Democratico. Come vedremo, all’inizio del 1900 alcuni casi come questi contribuirono ad enfatizzare l’inadeguatezza del sistema caucus-convention e la sua scarsa rappresentatività.
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