I primi segnali di evoluzione in Italia

Eppure qualche segno di evoluzione in Italia c’è, e non è da sottovalutare. Dal 2005 il centrosinistra, nelle sue varie versioni, prima Unione e poi Partito Democratico (PD), ha introdotto il sistema delle primarie per scegliere i candidati a varie cariche monocratiche. Usa quel sistema sia a livello locale che a livello nazionale. Nel gennaio 2005 si tennero in Puglia elezioni primarie per la scelta del candidato governatore dell’Unione, vinte a sorpresa da Nichi Vendola. Nell’ottobre 2005 si tennero primarie nazionali per il candidato premier dell’Unione, vinte da Romano Prodi. Potevano partecipare tutti coloro che sottoscrivevano un’adesione ai valori dell’Unione e versavano un euro. Successivamente, il PD tenne elezioni dette impropriamente primarie per la scelta del suo segretario e dei coordinatori locali. Sono quelle qui chiamate “primarie d’apparato”, perché le vere elezioni primarie servono a scegliere i candidati, non i capi del partito. Un’esperienza simile fu ripetuta dal PD nel 2009. A livello locale le primarie continuano ad essere usate per selezionare i candidati alle cariche monocratiche, anche se in varie situazioni si sono trasformate in “primarie di coalizione”, in cui i vari partiti esprimono candidati visibilmente identificabili come candidati di partito.

I socialisti francesi importarono il sistema delle primarie per la scelta del candidato alla presidenza. La prima volta, nel 2006, lo fecero consultando soltanto gli iscritti, mentre la seconda volta, nel 2012, usarono primarie con ballottaggio e consultarono tutti gli elettori che sottoscrivevano un manifesto di adesione della sinistra e versavano un contributo di un euro.

Varie volte le primarie sfuggirono al controllo dei partiti, come quelle pugliesi nel 2005 per il candidato governatore, e quelle fiorentine del 2009 per il candidato sindaco, vinte da Matteo Renzi. Gli apparati partitici tentarono a più riprese di inserirsi nel processo di selezione per tentare di domarlo. L’introduzione di primarie di coalizione e “primarie” d’apparato lo dimostrano. Alcuni esponenti di partito si dichiarano apertamente contrari alle elezioni primarie, altri si esprimono in maniera ambigua sull’argomento.

In effetti il processo, una volta iniziato, è irreversibile. Va pertanto dato atto e merito al centrosinistra italiano averlo avviato. Tuttavia, la storia americana ci fa capire che avviarlo non è sufficiente, e ci dà anche un’idea di quanto tempo dovremo attendere per perfezionarlo ed arrivare al traguardo finale, cioè il sistema dei partiti governati dagli elettori, se gli elettori non intraprendono autonomamente iniziative volte ad accelerare il passo: dalle prime primarie della storia di cui si abbia notizia, quelle del 1842, alla nascita del sistema moderno, nel 1972, passarono ben 130 anni. Volendo essere più indulgenti, possiamo far iniziare il processo dalle primarie presidenziali del 1912, ma si tratterebbe comunque di un’evoluzione lunga 60 anni. Pertanto, se il processo viene lasciato alla sua evoluzione spontanea, si potrebbe raggiungere l’obiettivo soltanto alla fine di questo secolo o nel prossimo. Se invece usiamo la conoscenza che ci è fornita dall’esperienza americana, visto che fortunatamente non abbiamo il compito di cercare e scoprire tutti i meccanismi per primi, ma qualcuno l’ha già fatto per noi, possiamo fare il salto in pochi mesi.

Non c’è dubbio che gli apparati partitici in Italia esistono ancora, anche nei partiti che usano le primarie. Quei partiti stanno vivendo una fase parecchio confusa di coesistenza di primarie ed apparati, simile a quelle vissute dai partiti americani nelle epoche che precedettero quella moderna. Le primarie, quando sono indette, sono tenute per concessione degli apparati, con le modalità e le regole stabilite da loro, e soltanto per le candidature a pochissime cariche pubbliche. Da notare inoltre che non sono mai state sperimentate finora, fuori dagli Stati Uniti, le primarie sequenziali, e nemmeno la convention quale governo popolare del partito.

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