La comunicazione a senso unico

In una tipica campagna elettorale italiana la comunicazione viaggia quasi interamente a senso unico, cioè dai candidati ai cittadini, nel senso che i candidati elaborano proposte su cui gli elettori non possono esprimere il proprio parere in tempo reale. Nel senso opposto, dai cittadini ai candidati, fluisce informazione solo con modalità indirette. Per esempio, l’andamento della raccolta dei fondi, il grado di partecipazione ai comizi e alle assemblee, i comunicati sui giornali, i sondaggi, le prese di posizione delle associazioni, eccetera, possono far capire al candidato, ma solo in maniera alquanto imprecisa, quanto il suo messaggio sia più o meno apprezzato dagli elettori. La sequenzializzazione delle primarie e la convention, invece, colmano questa lacuna. La sequenzializzazione aumenta esponenzialmente il numero di occasioni di incontro tra candidati ed elettori, e costringe i candidati a percorrere il territorio in lungo e in largo con frequenza e sistematicità, per allacciare rapporti diretti con gli elettori, poiché tutti gli elettori sono potenziali donatori. Inoltre, i risultati elettorali delle prime consultazioni della sequenza sono dati veri, non presunti come i sondaggi, cruciali per impostare il prosieguo della campagna elettorale delle primarie, correggere la strategia in corsa, enfatizzare alcuni aspetti del proprio messaggio politico e accantonarne altri, in modo da sintonizzarsi meglio con gli elettori. La convention è anche l’occasione ufficiale nella quale gli elettori si esprimono, per voce dei loro delegati, sulle proposte programmatiche e le regole del partito.

In un sistema in cui manca questo meccanismo articolato di interazione tra candidati ed elettori, gli elettori si vedono costretti a valutare proposte avanzate da altri, ma non ne possono formulare di proprie. La loro partecipazione si riduce a quella di un pubblico televisivo rispetto ai programmi televisivi: può decidere quali guardare, può così valutare indirettamente quei programmi, premiandone alcuni e magari condannando altri alla cancellazione immediata, ma non può formulare proposte proprie: è una partecipazione passiva.

In un contesto come questo, cosa può fare un cittadino insoddisfatto dello spettro di proposte presentate dai partiti chiusi e dai loro candidati, cioè il “palinsesto politico”? La prima possibilità è quella di impegnarsi in politica in prima persona. La maniera apparentemente più semplice è iscriversi a un partito, intraprendere la carriera politica e, magari, un giorno, candidarsi alle elezioni. Il tutto, notiamo, solo per avere la possibilità di avanzare proposte proprie, invece che accontentarsi di valutare quelle altrui, perché i partiti esistenti di fatto non glielo permettono, o glielo permettono soltanto in linea di principio, costellando quel permesso con una serie di regole pratiche e procedure farraginose che di fatto gli negano il diritto di esprimersi. Abbiamo visto cosa vuol dire entrare in un partito italiano e che tipo di persone vengono “promosse” e selezionate dagli apparati. Chi entra si trova proiettato in una struttura dalle regole e procedure dubbie e oscure, senza alcuna forma di controllo esterno ed imparziale. Invece che confrontarsi con gli elettori, con il popolo, viene assorbito in un mondo di tessere, comitati, apparati, capi-partito e “organi dirigenti”. Un percorso inutilmente tortuoso, senza fine e senza sbocchi, lo condurrebbe inevitabilmente alla rinuncia o all’omologazione. Non solo, in molti casi i partiti non danno agli elettori la possibilità di accedere direttamente alle candidature, ma metteranno il nostro volenteroso cittadino a “fare la fila”, dientro a “quelli che aspettano da molto più tempo di lui”, perché “si sono datti da fare per il partito”. Se il cittadino in questione volesse insistere ad impegnarsi in politica in prima persona, posto che non gli sia passata la voglia nel frattempo, la seconda possibilità sarebbe quella di fondare dal nulla un proprio movimento o partito. Sempre e solamente, lo ripetiamo, per avere la possibilità di esprimersi. Un sistema che riduce la libertà di espressione e il diritto di partecipazione dei cittadini al diritto di scendere in campo in prima persona o fondare partiti propri, è soltanto l’ennesimo sistema “diverso dalla dittatura, dal totalitarismo, dalla monarchia, eccetera”, ma non è una democrazia rappresentativa. Primo perché non è rappresentativo, secondo perché non è democratico, cioè non dà il potere al popolo. Per realizzare la democrazia rappresentativa non basta superare la dittatura e gli altri sistemi palesemente non-democratici.

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