Il sistema dei partiti governati dagli elettori

Damiano Anselmi

Introduzione

 

L’Italia sta attraversando una nuova fase di transizione politica. Viene archiviato un sistema partitico, non è chiaro quale sistema nuovo emergerà al suo posto. Mancano progetti innovativi, idee veramente “rivoluzionarie”, speranze, prospettive ed obiettivi maggiori. I gruppi che si candidano a sostituire i partiti decadenti si stanno muovendo un po’ a caso, senza metodo. I tempi ristretti limitano le possibilità e la creatività. È alto il rischio che i nuovi partiti diventino in breve tempo cloni dei partiti vecchi, che un si stema partitico confuso e fallimentare sia sostituito da un sistema altrettanto disordinato.

Chi ha avuto nella vita l’occasione di avvicinarsi ad un partito italiano, per coltivare il proprio interesse personale verso la politica o magari per semplice curiosità, si è sicuramente reso conto col passare del tempo, partecipando alle varie iniziative, alle riunioni e ai congressi, seguendo le campagne elettorali e le procedure di selezione dei candidati, che “qualcosa non funziona”. Tuttavia, è difficile farsi un’idea chiara fin da subito di cosa non funzioni, andare oltre la denuncia generica, proporre soluzioni concrete, valutare quali proposte di miglioramento siano effettivamente realizzabili. Questo è un lavoro che richiede tempo e pazienza. L’interazione con un partito politico “decadente” può comunque essere sfruttata proprio per identificare il problema con maggiore precisione e cercare la soluzione. Le domande principali da porsi sono: “cos’è il partito politico con cui mi sto relazionando? quali sono i suoi obiettivi? come funziona?” E poi: “cosa dovrebbe essere, invece, un partito politico? quali dovrebbero essere i suoi obiettivi? Come dovrebbe funzionare per raggiungere quegli obiettivi?” Queste domande rimandano tutte al problema “maggiore”: cos’è la democrazia rappresentativa? quali sono i suoi obiettivi? come deve funzionare per raggiungere quegli obiettivi?

È sicuramente utile, e doveroso, chiedersi quali risposte diano i sistemi politici e partitici delle più importanti democrazie attualmente esistenti. Una veloce disamina di quei sistemi può convincerci facilmente che per rispondere alle domande che ci siamo posti può essere conveniente cominciare studiando i partiti americani, e che questo lavoro potrebbe essere addirittura sufficiente. Occorre però andare al nocciolo della questione, immergersi completamente dentro quei partiti, per capire come si sviluppa il rapporto tra partiti ed elettori in tutte le sue fasi, in modo da identificare il punto in cui quel rapporto viene interrotto nei partiti italiani, e capire come riallacciarlo. Per gli obiettivi che ci poniamo noi questi argomenti sono molto più importanti delle pur interessanti analisi sulle leggi elettorali, i sistemi istituzionali e la Costituzione, e dei confronti tra la nostra Costituzione e la Costituzione americana. Allo stesso tempo, quelli che dobbiamo affrontare sono argomenti meno immediati da studiare, perché di solito attraggono meno attenzione, anche da parte degli studiosi, rispetto agli altri argomenti elencati sopra. In molti casi ciò che succede dentro i partiti lascia poche tracce ufficiali, ed è richiesto un lavoro supplementare per “dissotterrare” l’informazione necessaria, dispersa tra libri, giornali, documenti di partito e internet. Ricomporre il mosaico richiede un lavoro non banale, ma occorre dire che grazie ad internet oggi molte informazioni, ufficiali o meno, sulle attività interne ai partiti, di tutto il mondo, sono finalmente reperibili con una fatica abbastanza limitata. Una volta riusciti nell’impresa i frutti di quel lavoro possono essere messi a disposizione di tutti coloro che sono interessati.

Il sistema dei partiti americani è molto diverso e molto lontano dai sistemi partitici a cui siamo abituati. Prima di avanzare proposte per importare quel sistema in Italia o realizzare qui un sistema ispirato a quello, è necessario immergersi completamente nel sistema americano, riuscire a staccare la mente dal nostro e dai suoi problemi, capire veramente cosa sono i partiti americani, come si sono evoluti e come funzionano, come si è arrivati al sistema moderno. Lo faremo ripercorrendo la loro storia dalle origini ad oggi, e poi studiando la loro organizzazione attuale e il loro funzionamento.

Oggi la democrazia americana rappresenta i valori e le aspirazioni del popolo americano in modo soddisfacente, è efficiente e trasparente. Per raggiungere questo traguardo furono necessari due secoli, e un dinamismo e un’adattabilità straordinari. Un movimento evolutivo graduale, spontaneo e irreversibile, di cui soltanto oggi possiamo apprezzare il fine, produsse un sistema molto diverso da quello che i padri fondatori avevano in mente, un sistema che, per le sue proprietà, qui chiameremo “il sistema dei partiti governati dai propri elettori”.

Gli strumenti fondamentali del governo popolare dei partiti americani moderni sono la convention dei delegati e le primarie dirette. Mediante le primarie gli elettori designano i candidati alle elezioni e i propri rappresentanti (delegati) alla convention. La convention è il governo del partito e la sua autorità più alta. Essa stabilisce le regole, indirizza l’attività politica, dirime le controversie, elabora il programma elettorale e decide su qualunque questione lo ritenga opportuno. Sequenzializzando le primarie e correlandole alla convention in una maniera che spiegheremo in dettaglio, si ottiene un sistema che garantisce la piena, tempestiva e paritaria partecipazione degli elettori a tutte le attività del partito, la corretta rappresentanza della volontà popolare, e permette a tutti di candidarsi alle primarie, quindi alle cariche pubbliche, non soltanto formalmente, ma con effettive possibilità di vincere.

Al di fuori degli Stati Uniti, le elezioni primarie sono più l’eccezione che la regola. Sporadici esperimenti furono fatti recentemente in Europa, in alcuni stati del Sudamerica e in Asia. Del sistema dei partiti governati dagli elettori, cioè del sistema fatto di primarie sequenziali correlate alla convention, non si conoscono esempi rilevanti al di fuori degli Stati Uniti. Per questo il viaggio che faremo in questo libro è più che mai utile e necessario.

Esistono democrazie profondamente diverse tra loro. Per esempio, la democrazia americana differisce sostanzialmente dalle democrazie europee, nelle forme di partecipazione e coinvolgimento degli elettori, nella natura, struttura e organizzazione dei partiti, nell’effettivo potere di cui godono gli elettori. Sono possibili “tante” democrazie, oppure la democrazia è una soltanto? Le varie democrazie che conosciamo sono egualmente soddisfacenti? Anche queste sono domande importanti a cui bisogna rispondere.

La democrazia va pensata come concetto universale. Può essere adattata, nei dettagli, a diversi e molteplici contesti, ma la sostanza non può dipendere dalla sua realizzazione particolare. Differenze sostanziali tra sistemi diversi non possono che essere segnali che alcune “democrazie” non sono vere democrazie, ma “democrazie reali”.

La contraddizione tra diversità e universalità incompatibili mostra che il significato del concetto universale di democrazia non è ancora completamente chiaro. Studiare a fondo la democrazia americana, come si è evoluta fino alla sua forma moderna, come funziona oggi e come funzionava in passato, quale ruolo hanno oggi e hanno avuto in passato gli elettori, quale i partiti, quali strumenti sono impiegati per dare voce al popolo, ci può aiutare anche a definire il concetto universale di democrazia rappresentativa.

Siamo abituati a chiamare democrazia rappresentativa un sistema qualunque “provvisto di lezioni”, nelle quali il popolo elegge i propri rappresentanti “con procedure qualunque”. Non ci curiamo abbastanza di come sono selezionati i candidati e non indaghiamo a sufficienza quello che succede all’interno dei partiti. Eppure, la selezione dei candidati è un passaggio cruciale del processo di selezione dei rappresentanti. Non solo, ma molti elettori non hanno idea di come funzionano i partiti a cui danno il loro voto. Sono però consapevoli che quei partiti non li coinvolgono mai nelle decisioni che riguardano il governo del partito, ma si fanno vivi sempre e soltanto quando hanno bisogno di voti. In quanto libere associazioni di liberi cittadini, i partiti possono certamente regolarsi come meglio credono, ma è anche vero che nel valutare una democrazia in quanto tale occorre tener conto delle effettive possibilità di partecipazione degli elettori, non delle possibilità teoriche. Poiché i partiti fungono, o dovrebbero fungere, da tramite tra i cittadini e le istituzioni, è quanto mai necessario occuparsi in dettaglio della loro natura, le loro regole e le loro procedure. Se i partiti non funzionano adeguatamente, non funziona la democrazia. Torniamo così al significato del concetto di democrazia, e alla sua universalità. Si può parlare di democrazia rappresentativa quando le candidature sono decise “dall’alto”, senza alcuna consultazione popolare, in riunioni di vertice che coinvolgono un numero ristretto di persone, o riunioni informali tra capi-partito, capi-corrente e rappresentanti eletti? È democrazia quella in cui i partiti decidono le proprie regole senza consultare i propri elettori? Quella in cui esistono gli “iscritti” che comprano delle “tessere”, cioè pagano per ottenere come privilegio quello che dovrebbe essere un loro diritto, il diritto di contribuire paritariamente alle decisioni del partito nel quale si riconoscono? Spesso, e quasi involontariamente, non caratterizziamo la democrazia in maniera affermativa e sufficientemente precisa per quello che essa è. Più spesso svicoliamo il problema e ci accontentiamo di qualificare la democrazia “in negativo”, cioè per quello che essa non è: dittatura, totalitarismo, monarchia, aristocrazia, oligarchia, eccetera. Siamo tutti felici di avere superato, era anche ora, questi sistemi antidemocratici, alcuni dei quali veramente aberranti, ma ci basta questo? Tra tante “non-dittature” possibili, “non-monarchie”, “non-oligarchie”, eccetera, magari provviste di elezioni, una sola è la democrazia.

Affinché un sistema politico possa essere chiamato democrazia rappresentativa occorre che soddisfi alcuni criteri che definiremo con precisione. Per esempio, occorre che tutti i passaggi del processo che porta alla selezione dei rappresentanti dei cittadini siano rimessi agli elettori in modo paritario, e soltanto a loro. In particolare, gli elettori devono designare i candidati alle elezioni, stabilire le regole dei partiti, il programma politico e il programma elettorale. A ciascun elettore deve essere garantita completa, tempestiva e paritaria opportunità di prender parte a tutte le decisioni del partito. Gli elettori devono essere consultati con modalità che garantiscano la corretta rappresentanza della loro volontà. Inoltre, tutti gli elettori devono avere il diritto a candidarsi con effettive possibilità di vincere. Più precisamente, il vantaggio di cui gode chi è già famoso o molto ricco deve essere ridotto al minimo, affinché sia appunto soltanto un vantaggio e non si trasformi in privilegio, perché sulla linea di partenza tutti i candidati devono avere la possibilità di gareggiare per vincere, e l’unico criterio che determina il risultato finale deve essere la volontà popolare, non una serie di vantaggi e rendite di posizione a favore degli uni, svantaggi e penalizzazioni oggettive a sfavore degli altri. In altre parole, la democrazia rappresentativa richiede che i partiti siano partiti di elettori, governati dagli elettori.

In passato, la politica americana attraversò difficoltà simili a quelle che affliggono attualmente la politica italiana. Tra queste, menzioniamo la mancanza di trasparenza; la rappresentanza non corretta della volontà popolare; il problema delle candidature decise dall’alto, senza alcuna consultazione popolare, o addirittura ribaltando il risultato delle consultazioni popolari; la politica delle correnti, dei boss e delle fazioni; le estenuanti dispute e polemiche tra i sostenitori di fazioni avversarie; gli accordi di compromesso al ribasso per non scontentare nessuno; la mancanza di criteri oggettivi per identificare i candidati più forti e popolari, e con maggiori possibilità di battere gli avversari; il controllo elitario esercitato da gruppi di privilegiati sul processo di selezione dei rappresentanti dei cittadini. Questi problemi furono superati poco meno di quarant’anni fa, dopo quasi due secoli di tentativi. Se questa evoluzione fu possibile in un luogo, gli Stati Uniti, essa è possibile ovunque: in Italia, in Europa e in tutto il mondo.

Nella prima parte del libro studieremo la storia dei partiti americani, dalle origini all’epoca moderna, focalizzando l’attenzione sulla loro organizzazione e struttura, sulle forme di partecipazione degli elettori, sul processo di nomina dei candidati. Nella seconda parte analizzeremo il funzionamento del sistema dei partiti aperti e governati dagli elettori, fatto di convention e primarie dirette sequenziali correlate alla convention. Le elezioni per le cariche pubbliche, contrapposte alle elezioni primarie, saranno chiamate “elezioni generali”. Nella terza parte del libro elaboreremo un progetto praticamente realizzabile per traformare un qualunque sistema partitico, quindi anche quello italiano attuale o futuro, nel sistema dei partiti governati dagli elettori.

 

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