Il sistema dei partiti governati dagli elettori

Damiano Anselmi

Leggi elettorali e assetti istituzionali

 

Soddisfare il criterio della cassiera è condizione necessaria e sufficiente perché un sistema politico nel suo complesso, fatto di partiti, leggi elettorali e assetti istituzionali, sia una democrazia rappresentativa. Che i partiti siano governati dagli elettori è una condizione necessaria. Strettamente parlando, non è una condizione sufficiente, giacché non possiamo escludere che leggi elettorali assurde e assetti istituzionali sbagliati possano, in linea di principio, impedire ai partiti governati dagli elettori di soddisfare il criterio della cassiera. Tuttavia, possiamo dire che è una condizione “quasi sufficiente”, perché tutte le “democrazie qualunque” sono provviste di elezioni e sistemi istituzionali accettabili. È veramente difficile immaginare leggi elettorali e sistemi istituzionali che vanifichino il criterio della cassiera in presenza di partiti governati dagli elettori, mentre è facile immaginare organizzazioni partitiche che eludano la rappresentatività, anche in presenza di assetti istituzionali e leggi elettorali che si sposano perfettamente col sistema dei partiti governati dagli elettori: per più di un secolo e mezzo negli Stati Uniti i partiti furono il terreno di scontro di boss locali e teatro di macchinazioni, eppure l’architettura istituzionale di quel paese era praticamente la stessa di quella odierna.

Finora abbiamo studiato i partiti governati dagli elettori, cosa sono e come devono funzionare per raggiungere i loro obiettivi, come possono essere realizzati in Italia e altrove, ignorando quasi completamente i sistemi elettorali ed istituzionali in cui i partiti sono immersi. La ragione principale è che questi ultimi non hanno in principio, e non devono avere di fatto, ricadute sul progetto. Che i partiti siano o meno governati dagli elettori non dipende da leggi elettorali e sistemi istituzionali, ma dalle libere scelte dei partiti stessi. Cambiare i partiti chiusi transformandoli in partiti aperti, oppure creare partiti aperti nuovi da mettere in competizione con i vecchi partiti chiusi, in modo da estrometterli progressivamente dalla vita politica e sostituirli, è possibile senza approvare una sola legge elettorale, senza modificare un solo articolo della Costituzione. È dunque conveniente tenere i due argomenti separati, anche perché di solito presunte difficoltà a realizzare il sistema dei partiti governati dagli elettori in un assetto istituzionale come quello italiano sono invocate pretestuosamente per distrarre l’attenzione dall’obiettivo finale e difendere il privilegio che i pochi si sono arrogati a danno dei molti. Il diritto degli elettori a governare paritariamente i partiti, e di essere gli unici a farlo, non dipende e non può dipendere da sistemi elettorali o istituzionali.

Il sistema istituzionale italiano, e le leggi elettorali vigenti non pongono alcun ostacolo alla realizzazione dei partiti aperti. Non è necessario attendere modifiche della legge elettorale e riforme istituzionali. Questo tipo di riforme dovrà seguire la realizzazione dei partiti governati dagli elettori, non precederla. Sicuramente, infatti, quando arriveranno al potere i partiti U e C cambieranno le leggi elettorali e la Costituzione in modo da adattarle meglio al sistema dei partiti governati dagli elettori.

Vediamo come procedere nel caso si voglia applicare il sistema PSC alla selezione dei candidati deputati e senatori con la legge elettorale vigente oggi in Italia, che è proporzionale con premio di maggioranza, e prevede collegi di dimensioni inusualmente grandi, chiamati allo scopo circoscrizioni. Nel caso dell’elezione dei senatori i collegi coincidono con le regioni, nel caso dell’elezione dei deputati coincidono con le regioni tranne che per le regioni grandi, frazionate in tre parti (Lombardia) o due (Piemonte, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia).

Volendo stabilire una relazione stretta tra candidati e territorio di riferimento, la suddivisione delle circoscrizioni in collegi uninominali, non prevista dalla legge elettorale vigente, dovrà essere fatta autonomamente “dal partito”. Nel caso dei partiti governati dagli elettori non ha senso parlare impersonalmente di “partito”, ma occorre specificare quale convention abbia l’onere di stabilire regole come queste.

Procediamo con ordine, dando prima una serie di regole che potrebbero valere per la prima volta. Poi sarà relativamente facile identificare l’autorità (cioè la convention) che si occuperà di dirimere le contestazioni ed eventualmente modificare le regole per le volte successive. Per concretezza, ci riferiamo all’elezione dei senatori, quindi la circoscrizione di riferimento sarà una regione, per esempio la Toscana, alla quale supponiamo spettino 18 senatori. La legge prevede un premio di maggioranza regionale al partito o coalizione che si classifica per primo, pari al 55% dei senatori eletti. Ipotizziamo quindi di voler candidare non una lista di 18 senatori, giacché non è realistico pensare di raggiungere il 100% dei voti, ma una lista di 10 senatori, che è poco più del 55% di 18. Suddividiamo pertanto la Toscana in dieci collegi uninominali di popolazione non troppo diversa. Per esempio, la prima volta si può assegnare un collegio a ciascuna delle province escluse Firenze e Prato, e dividere il territorio complessivo di Firenze e Prato in due collegi più o meno uguali. In ciascun collegio uninominale si applica il sistema PSC, con il quali gli elettori eleggono il candidato senatore corrispondente a quel collegio e i delegati alla convention di quel collegio. Abbiamo dunque 10 filoni indipendenti, che selezionano i 10 candidati senatori e si autogovernano. Rimane il problema di ordinare la lista dei 10 candidati senatori da presentare alle elezioni, perché la legge prevede che gli eletti siano i primi elencati sulla lista.

Una possibilità è indire un turno successivo di “primarie”, da tenere lo stesso in tutta la regione, appositamente per questo scopo. La regione Toscana, tra l’altro, prevede già consultazioni simili a livello regionale, che ha chiamato impropriamente “primarie”. Un’altra possibilità è convocare la “convention delle convention”, cioè la convention regionale che riunisce i delegati eletti in tutti i collegi uninominali. La convention delle convention è l’autorità che dirime le questioni riguardanti la lista regionale. Tra i suoi compiti ci può essere, appunto, anche stabilire l’ordine dei candidati in lista. Investire di un compito delicato come questo un numero ristretto di persone invece degli elettori, quale i delegati alla convention, che potranno essere circa un centinaio in Toscana, può rendere le operazioni controllabili, quindi comporta dei rischi, come accordi sottobanco e manovre non trasparenti. Il rischio è ridotto dal fatto che i delegati sono elettori tra elettori, non hanno mai fatto politica, non hanno nulla da guadagnare o da perdere, e fare il delegato alla convention non porta vantaggio alcuno. Tuttavia, se si sceglie questa strada è conveniente prendere delle precauzioni per ridurre il rischio ancora di più.

Alla convention delle convention si procederà nel seguente modo, ispirato ai caucus americani. Ogni candidato senatore avrà venti minuti di tempo per parlare ai delegati e convincerli a votare per lui. Poi i delegati avranno un’ora di tempo per discutere fra loro, con interventi di 5 minuti al massimo cascuno. Infine voteranno, in modo palese. Ogni delegato avrà a disposizione 10 voti e ne dovrà esprimere almeno 6, con i quali potrà ordinare la lista dei candidati senatori secondo le sue preferenze. All’ultimo della lista darà un punto, al penultimo 2, al terzultimo 3, e così via. La classifica finale sarà compilata sommando i punti raccolti da ciascun candidato. La regola matematica volutamente complicata è una precauzione sufficiente per impedire eventuali macchinazioni e rendere la votazione non-controllabile.

Con questo sistema ogni candidato senatore sarà in parte legato al territorio/collegio dal quale avrà ricevuto l’investitura, e in parte alla regione nel suo complesso, per aver ricevuto un punteggio migliore degli altri nelle votazioni tenutesi nella convention delle convention. Infine, la convention delle convention stabilirà le regole regionali, tra cui i collegi uninominali, per la volta successiva.

Queste osservazioni mostrano che nemmeno la legge elettorale italiana può giustificare ritardi o dilazioni nella realizzazione del sistema dei partiti governati dagli elettori. Detto questo, è chiaro che ai due partiti aperti non basterà vincere le elezioni, conquistare e redistribuirsi la quasi totalità dell’elettorato, ma, una volta arrivati al potere, vorranno sicuramente riscrivere la Costituzione, fors’anche dalla prima all’ultima parola, per poi sottoporre la nuova Costituzione a referendum popolare. Inoltre, cambieranno tutte le leggi che regolano le materie elettorali in Italia, per armonizzarle il più possible al sistema dei partiti governati dagli elettori e al processo fatto di primarie sequenziali correlate alla convention. Vediamo dunque quali sono le eleggi elettorali e gli assetti istituzionali più adatti al sistema dei partiti governati dagli elettori.

Sono sicuramente preferibili leggi elettorali uninominali a leggi elettorali proporzionali. Queste ultime costringono i partiti aperti a suddividere il territorio in modo un po’ artificiale, come nell’esempio presentato sopra. Il sistema uninominale permette di saltare il passaggio in cui vengono ordinati i candidati nelle liste e associa in modo più naturale ogni candidato ad un territorio di riferimento. Se il sistema PSC fosse stato adottato con la legge elettorale semimaggioritaria Mattarella, la realizzazione del progetto sarebbe stata più immediata. Tuttavia, di nuovo, leggi elettorali imperfette possono al massimo frapporre qualche ostacolo in più, non certo impedire la realizzazione dell’obiettivo finale, cioè i partiti governati dagli elettori.

Col sistema PSC universale si realizza anche la massima separazione dei poteri, nel senso che il processo di selezione dei candidati a cariche legislative non interferisce col processo di selezione dei candidati a cariche esecutive. Una Costituzione che preveda la netta separazione dei poteri anche a livello istituzionale sarebbe auspicabile. Non è tuttavia necessario specificare qui la possibile nuova Costituzione in dettaglio, anche perché esistono numerose alternative che si possono adattare ugualmente bene al sistema PSC. Allo stesso tempo, replicare la Costituzione americana in Italia, con una struttura federale basata sulle attuali regioni, o regioni nuove, con date certe per le elezioni e durate certe delle cariche pubbliche, inserendo magari la mozione di sfiducia popolare per qualunque rappresentante eletto in carica, è forse la via più semplice per garantire un risultato sicuramente soddisfacente.

Non sono consigliabili leggi elettorali con preferenze. Le preferenze sovrappongono la competizione tra candidati dello stesso partito alla competizione tra partiti. In questo senso, vanno nella direzione opposta rispetto a quella imboccata dal sistema PSC. Invece che diluire la competizione per permettere agli elettori di valutare meglio i candidati, sovrappongono competizioni diverse creando soltanto confusione. Le elezioni primarie si chiamano appunto primarie perché anticipano la competizione interna ai partiti rispetto alla competizione tra candidati di partiti diversi. Al momento delle elezioni generali le questioni interne ai partiti devono essere già tutte risolte.

È consigliabile inserire un numero massimo di mandati per qualunque carica pubblica, per esempio 2 o 3. Un mandato unico sarebbe controproducente, perché soltanto la possibilità di ripresentarsi di fronte agli elettori per ottenere la ricandidatura può stimolare un rappresentante eletto a tener fede alle promesse fatte in campagna elettorale. D’altra parte, un difetto spesso imputato ai sistemi democratici è quello di non permettere scelte, provvedimenti o riforme “impopolari”, forzando i rappresentanti eletti ad inseguire costantemente gli umori, alle volte i capricci, degli elettori. Introducendo il numero massimo di mandati si creano le condizioni affinché, nell’ultimo mandato, il rappresentante in carica sia completamente libero di prendere quel tipo di decisioni, senza essere ossessionato da considerazioni elettoralistiche. Infine, per favorire il ricambio il numero massimo di mandati dovrebbe essere 2 o 3.

Infine, i partiti U e C, una volta al potere, vorranno sicuramente approvare leggi per le primarie pubbliche, e superare così la fase transitoria in cui le primarie sono autogestite dai partiti.

Non è conveniente che, una volta arrivati al potere, i partiti aperti approvino leggi per sancire, ad esempio, che i partiti chiusi siano illegali o non possano presentarsi alle elezioni. Questo tipo di artifici può servire soltanto a difendere sistemi fragili, come appunto quelli dei partiti chiusi attuali, mentre il sistema dei partiti governati dagli elettori ha una forza intrinseca sufficiente a garantirne la stabilità. Tuttavia, quella forza e quella stabilità sono conseguenze del suo dinamismo. Ad essere stabile è il sistema dei partiti aperti in quanto sistema, non i singoli partiti aperti. Non esiste garanzia che un partito aperto rimanga tale e non imbocchi una spirale involutiva che lo porti alla chiusura. Pertanto, la nascita continua di altri partiti, inizialmente aperti o chiusi, pronti eventualmente ad aprirsi e a sostituire i vecchi, non deve essere limitata in alcun modo, anzi contribuisce a garantire quel dinamismo che solo può garantire la stabilità del sistema in quanto tale.

Infine, sarà opportuno approvare un insieme di “liberalizzazioni”, per esempio togliere valore legale a nomi e simboli di partito, eliminare i simboli dei partiti dalle schede elettorali, enfatizzare i nomi dei candidati sui nomi dei partiti, usare, come schede elettorali, semplici fotocopie su carta semplice, far votare con metodi che permettano di contare i voti servendosi di macchine apposite, eccetera.

 

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