In Italia quando si discute di rinnovamento della classe dirigente, si discute, appunto, del possibile rinnovamento della classe dirigente! Troppe volte sentiamo ripetere queste parole, al punto che è lecito insospettirsi.
Dunque, riflettiamo: la “democrazia” italiana è fatta di una classe dirigente e dunque, immaginiamo, una classe diretta, una classe suddita. Anche perché la classe dirigente deve pur dirigere, e non è plausibile che chi usa quei termini stia pensando al traffico. Quando sentiamo persone esprimersi in questo modo, viene il sospetto che non si siano mai interrogate a fondo sul significato della democrazia. Inspiegabilmente, non avvertono la potente carica antidemocratica contenuta in un’espressione apparentemente così semplice, e ormai così diffusa. Intanto, a dirigere sarebbe una classe. Qualcuno si è mai preso la briga di definire questo tipo di classe? Di spiegare il senso di questa parola? Non è forse una versione un po’ soft del termine casta? Non sorprendiamoci se il rinnovamento è lento e scarso: si tratta di rinnovare una “classe”, dopotutto. E poi, questa classe di persone sarebbe chiamata a dirigere, ossia comandare, “ducere”. Sembra che gli italiani siano molto affezionati all’idea del capo e dei sudditi, e non riescano a pensare a possibilità alternative a questo ordinamento delle cose. Perfino le elezioni sono intese come sistemi con i quali i sudditi eleggono i capi che li guidano. Per esempio, ci sono partiti che hanno addirittura inventato le primarie di apparato, con le quali non si eleggono candidati alle cariche pubbliche, ma capi, segretari di partito, coordinatori di partito, che poi, in luogo degli elettori, dettano (altra azzeccatissima parola democratica…) la linea politica, stabiliscono le alleanze con gli altri partiti in vista delle elezioni, ecc. Notare: poi dettano la linea politica. Infatti, come sappiamo, non sono gli elettori a dettarla, ma gli elettori demandano questo compito al capo, quindi poi subiscono la volontà del loro capo. Gli elettori sono lontanissimi dalle decisioni prese con queste procedure. La volontà popolare, posto che ci sia mai preoccupati di conoscerla, si è persa molto, ma molto prima di arrivare a concepire queste forme di “partecipazione” e “coinvolgimento” degli elettori.
Il ripetere continuo delle parole “classe dirigente”, contornate da varie altre che fungono unicamente da pretesto per pronunciare quelle, serve ad “allevare il popolo”, ad abituarlo gradualmente all’idea che esiste appunto una classe dirigente e quindi anche, ma questo non viene detto esplicitamente, una classe suddita. Non ci resta che indovinare a quale classe apparterrebbe il popolo secondo questa visione del mondo. Con beata ingenuità da parte di molti e subdola malafede da parte di pochi, in Italia vengono accettati sistemi partitici ed elettorali che mortificano sistematicamente la volontà popolare invece che farla emergere.
Nell’epoca moderna l’idea del capo è gradualmente sparita negli Stati Uniti e oggi non sfiora minimamente la mente degli americani. Le elezioni, primarie o meno, non sono viste come metodi per selezionare dei capi. Obama non è il “capo” del Partito Democratico, come Bush prima e Romney oggi non sono mai stati i “capi” del Partito Repubblicano. Se il presidente in carica, o chiunque altro, intendesse “dettare” la linea politica del partito (concetto che negli Stati Uniti comunque non ha senso, perché è il “platform” approvato dalla convention a specificare il programma del partito) verrebbe semplicemente ignorato.