Il sistema italiano è fatto di partiti chiusi. Si tratta di associazioni politiche, più che di partiti. In quanto associazioni, sono fatte di soci, che pagano una tessera, tipicamente annuale, per associarsi. I partiti italiani non sono pertanto fatti di elettori, e men che meno governati dagli elettori, ma sono partiti di soci. I soci godono di diritti maggiori di quelli degli elettori. Anzi, spesso gli elettori non godono di alcun diritto in merito al governo del partito. Non si può nemmeno dire che i partiti italiani siano governati dai loro soci, perché sono innumerevoli i trucchi usati per ridurre di fatto al minimo il ruolo dei soci e aumentare il potere di ristrettissimi gruppi di privilegiati, a livello locale come a livello nazionale, che controllano il partito.
Non solo. I partiti italiani sono associazioni (private) di persone che si identificano con una serie di obiettivi e valori molto specifici, scritti sullo statuto del partito. Gli statuti dei partiti italiani non sono blandi come le carte delle regole dei partiti americani, non sono scritti dagli elettori o dai loro delegati, non hanno una validità limitata nel tempo. Non sorprende dunque che i partiti italiani siano poco dinamici, che qualunque cambiamento di rilievo sia traumatico, comporti scissioni, aggregazioni, creazione di nuovi partiti, e non possa avvenire come processo dinamico interno previsto dal partito stesso. È più corretto considerare i partiti italiani come delle lobby, perché si fanno portatori di idee specifiche ed interessi particolari. Per esempio, ci sono partiti che sono sensibili agli interessi delle gerarchie ecclesiastiche e del Vaticano, come ci sono partiti che si oppongono a quegli interessi, ci sono partiti più o meno esplicitamente sensibili agli interessi di specifici gruppi imprenditoriali, e poi ci sono partiti personalistici. Negli Stati Uniti queste specificità caratterizzerebbero gruppi (peraltro molto fluidi) interni ai partiti, o i cosiddetti terzi partiti, non i partiti maggiori in quanto tali.
Più specifici sono i valori e gli obiettivi del partito, più ristretta è la platea di elettori a cui si rivolge. Di fatto, già nel momento della loro fondazione, molti partiti italiani si autocondannano alla marginalità, e tutti si precludono il raggiungimento del 51% del consenso per il solo fatto di approvare statuti e regolamenti che riducono in partenza le loro possibilità di apertura e il loro dinamismo. Questa è anche una delle ragioni per cui in America i terzi partiti non diventano mai partiti maggiori.
Un cittadino che, per rappresentare e difendere posizioni simili a quelle di un partito esistente, decidesse di iscriversi a quel partito, dovrebbe anche accettare le modalità e le procedure che quel partito si è dato per portare avanti quell’insieme di posizioni politiche, idee, valori e obiettivi. Tuttavia, scoprirebbe presto che quelle procedure di fatto impediscono il raggiungimento degli obiettivi, invece che agevolarlo, e non sono facilmente modificabili. Al nostro concittadino rimarrebbe sempre la stessa alternativa, quella di fondare un partito proprio, magari cercando di farlo più aperto, se gli riesce, e di dotarlo di procedure coerenti con gli obiettivi che si prefigge di raggiungere. Paradossalmente, il nuovo partito dovrebbe rappresentare le stesse posizioni politiche e perseguire gli stessi obiettivi dell’altro, e differire da quello soltanto nelle persone che lo compongono, nella struttura e nelle regole. Un sistema in cui alcune oligarchie si arrogano l’esclusiva rappresentanza delle posizioni politiche “sul mercato”, e con procedure farraginose rende difficile l’emergere di competitori, è un sistema di governo elitario.
I partiti americani, invece, non sono identificati né dalla loro organizzazione o struttura, che anzi sono ridotte ai minimi termini, né dagli obiettivi e dalle posizioni sui temi politici. Il partito è identificato dai suoi elettori. Le posizioni politiche riflettono la volontà dei suoi elettori, emergono dalla consultazione degli elettori, sono un prodotto di quella consultazione, non una loro premessa logica. Non si tratta di elettori che si associano per difendere posizioni politiche fissate a priori. Si tratta di elettori che si consultano per elaborare posizioni politiche nuove ed intraprendere un’azione politica nuova.
Al massimo, il partito americano può essere temporaneamente identificato dagli obiettivi che lo hanno contraddistinto nel recente passato, a partire dalla ultima convention, ma le posizioni politiche possono cambiare non poco da una convention all’altra. Pertanto, se si identificano i “membri” del partito con gli elettori che condividono le posizioni politiche del partito, occorre specificare, dinamicamente, a quale periodo ci si riferisce, a causa della fluidità intrinseca dei partiti aperti. Per esempio, se si richiede l’adesione ai valori del partito, si chiede in sostanza di sottoscrivere la carta dei valori approvata dalla convention precedente. Più spesso l’adesione è implicita. In ogni caso, all’elettore viene chiesto un riconoscimento veramente minimo al partito, e non vincolante per il futuro, nemmeno per le elezioni generali immediatamente successive. L’adesione al partito potrebbe voler dire “condivido le posizioni del partito: vengo a difenderle”, come potrebbe voler dire “non condivido affatto le posizioni assunte dal partito finora: vengo a cambiarle”. Lungi dal danneggiarli, quella fluidità permette ai partiti americani di entrare più rapidamente in risonanza colle posizioni politiche degli elettori e quindi accrescere il consenso.
Spesso, ma non sempre, i temi più importanti di una campagna elettorale sono quelli legati all’economia, ma le problematiche coinvolte, e le soluzioni, sono estremamente varie e difficilmente caratterizzabili dal punto di vista ideologico. Alle volte temi legati alla politica internazionale prendono il sopravvento, altre volte prevalgono i temi riguardanti l’ordine pubblico e la sicurezza, e così via. Un partito statico, nelle idee, come nei programmi e nell’elettorato di riferimento, ha difficoltà ad adattarsi alla situazione. Inoltre, ogni volta che cerca di aggiornarsi deve fare i conti coll’inevitabile accusa di incoerenza. Un partito dinamico fa della sua fluidità la principale virtù. Sono i singoli candidati a preoccuparsi di tenere comportamenti coerenti durante la loro carriera politica, ed eventualmente far fronte, individualmente, alle accuse di incoerenza, non i partiti in quanto tali. Ecco allora che il partito può cambiare agilmente posizione semplicemente cambiando i candidati, le persone, cosa che gli elettori hanno modo di fare con poco sforzo grazie al sistema PSC. Di fatto, gli elettori si servono di tali e tal altri rappresentanti fin quando li ritengono utili, e li accantonano non appena diventano inutili, nell’ottica in cui i rappresentanti sono veramente servitori degli elettori, non nell’ottica ribaltata secondo cui gli elettori sono servitori dei rappresentanti.