Da quanto detto finora appare chiaro che non bastano le elezioni a qualificare un sistema politico come una democrazia rappresentativa. Le elezioni costituiscono una tappa del processo di selezione dei rappresentanti dei cittadini. Nel complesso, questo processo consiste anche di passaggi antecedenti le elezioni, come la selezione dei candidati. Un sistema in cui i candidati sono decisi da gruppi ristretti e chiusi, che frappongono ostacoli e difficoltà pratiche al libero accesso degli elettori, non è da considerare una democrazia rappresentativa.
Nel caso della democrazia diretta i problemi sarebbero diversi perché non ci sarebbe bisogno di rappresentanti. Garantire l’uguaglianza dei cittadini nelle consultazioni sarebbe più facile, e rimarrebbe il problema di controllare, oltre alla regolarità delle consultazioni, la loro trasparenza, cioè verificare che siano convocate con congruo anticipo, che i cittadini siano informati esaustivamente, e così via, per scongiurare trucchi tesi a favorire una maggiore partecipazione di persone o gruppi specifici a danno degli altri. Grazie al progresso tecnologico oggi saremmo nelle condizione di fare esperimenti di democrazia diretta con una certa sistematicità, ma sorprendentemente questo tema non sfiora nemmeno il dibattito politico, anch’esso comunque ristretto in Italia a poche persone, con un ricambio scarso o nullo. Parlando invece di democrazia rappresentativa, dobbiamo chiederci se le procedure adottate siano efficaci a livello pratico, perché un insieme di enunciati teorici non basta. È opportuno ricordare le parole di Theodore Roosevelt, già riportate, il quale osservava nel 1912 che gli interessi particolari “trasformano i metodi del libero governo in macchinazioni per sconfiggere la volontà popolare”. Parole scioccanti, se si considera che a dirle fu una persona che aveva già ricoperto la carica di presidente degli Stati Uniti per due mandati, non un protestatario dell’ultima ora. Roosevelt sapeva che in una democrazia indiretta il potere ricevuto dai cittadini viene sistematicamente impiegato contro i cittadini stessi. Non si può trascurare il problema dei partiti, cosa sono e come funzionano al loro interno, da chi e come sono governati, come funziona il processo di selezione dei candidati. Non è possibile cullarsi nell’illusione che bastino la “democrazia qualunque”, intesa come “sistema politico provvisto di elezioni qualunque”, per garantire che chi ha il potere lo usi per fare gli interessi dei cittadini, invece di usarlo per precludere ai cittadini le occasioni di accesso a quello stesso potere, in modo da tenerlo gelosamente per sé e creare una discriminazione di fatto tra una casta di privilegiati e una casta di sudditi. Allo stesso modo, non bastano delle “primarie qualunque”, di apparato o di coalizione che siano, non esistono scorciatoie o sistemi magici improvvisati che il politico di professione non sappia ritorcere contro gli stessi elettori. Non ci si può aspettare che i rappresentanti facciano gli interessi degli elettori per senso del dovere o per “vocazione”. Bisogna invece fare i conti con la natura umana, il legittimo individualismo e l’ambizione che animano la maggior parte delle persone e le spingono a profondere un grande impegno soltanto se intravedono la possibilità di un ritorno personale, un’occasione per affermarsi. Presumere che molti rappresentanti siano tentati di sfruttare la posizione che occupano per avvantaggiarsene ai danni di tutti gli altri elettori e creare un’oligarchia di privilegiati di fatto, anche se non di diritto, non vuol dire criminalizzarli ed alimentare la cosiddetta antipolitica, ma semplicemente affrontare il problema con sano realismo, per elaborare un sistema che sfrutti quella legittima sete di ambizione e la ritorca a vantaggio dei cittadini, invece che demonizzarla e coprirla d’infamia. Per raggiungere questo obiettivo occorre un insieme di regole che garantisca agli elettori un controllo totale, tempestivo, invasivo ed efficace, sulla scelta dei loro rappresentanti, ciò che può succedere solamente quando gli elettori governano paritariamente i partiti in tutte le loro attività e sono gli unici soggetti preposti a governare il partito.
Negli Stati Uniti il sistema moderno non fu progettato a tavolino da “menti illuminate”, ma emerse come risultato del conflitto tra interessi, opportunismi ed egoismi individuali. Individualismo, ambizione ed egoismo sono stimoli assai più potenti del “senso di responsabilità”, della “buona volontà”, del “senso del dovere”. Oggi i rappresentanti, negli Stati Uniti, non si curano dei loro elettori per senso del dovere e del bene comune, ma semplicemente perché se così non facessero alle primarie successive verrebbero rimandati a casa. Se un cittadino scrive al suo rappresentante, chiaramente identificabile grazie al sistema elettorale uninominale, sa che riceverà attenzione e risposta, una risposta vera e non di maniera. E questo succede non perché quel rappresentante sia stato selezionato tra i santi, ma perché sa di occupare una posizione molto precaria, e se si sparge la voce che trascura i propri elettori, o che i suoi elettori non sono contenti di lui, avrà poche possibilità di ottenere la ricandidatura, da quegli stessi elettori, quando affronterà le relative primarie. In questo modo, mentre i rappresentanti si spendono per perseguire le proprie ambizioni ed aspirazioni personali, sono costretti a prestare seria attenzione alle esigenze dei cittadini, i quali ricoprono un po’ il ruolo di “datori di lavoro” nel vero senso del termine, e godono davvero del potere di “licenziare” i politici inetti, scorretti o disonesti, ben prima delle nuove elezioni e ben prima dell’intervento della magistratura, e sostituirli con persone più sensibili ai problemi della gente.
In Italia, invece, ancora oggi è inflazionato l’impiego di luoghi comuni che tendono a favorire la direzione opposta a quella appena suggerita, come ad esempio l’adagio secondo il quale occorre “mettere le idee prima delle persone, non le persone prima delle idee”. Gli unici che hanno interesse a mettere le idee prima delle persone sono coloro che temono di essere sostituiti, cioè i rappresentanti in carica o chiunque occupi una posizione di privilegio. Suggerire di concentrare l’attenzione sulle idee serve principalmente a distrarre l’attenzione dal problema vero, che è proprio quello della selezione delle persone, per fare in modo che le persone chiamate a rappresentare le idee siano sempre quelle. Se poi si aggiunge che negli Stati Uniti esiste ancora oggi in molti stati la mozione di sfiducia popolare, con la quale gli elettori possono mandare a casa un rappresentante eletto durante il suo mandato, senza nemmeno aspettare le elezioni successive, ci si rende conto che in quel paese il problema del controllo degli elettori sugli eletti è preso veramente sul serio, e altrettanto sul serio deve essere preso in Italia e in qualunque altro paese.