L’affluenza percentuale alle urne negli Stati Uniti può essere misurata in due modi diversi: il primo consiste nel calcolare la percentuale dei votanti sul totale degli elettori potenziali, che è il numero di cittadini che avrebbero diritto, se si registrassero come elettori, di andare a votare; il secondo è la percentuale di votanti sul totale degli elettori registrati, che è il numero di cittadini che possono effettivamente andare a votare in quel momento. Come mostra la tabella IV, il primo tipo di affluenza, che chiamaremo potenziale, è abbastanza lontano dalle affluenze tipiche delle elezioni italiane, ma il secondo tipo di affluenza, che chiameremo effettiva, è molto più vicino ai risultati nostri. Ricordiamo che in Italia non c’è questa differenza, perché normalmente gli elettori ricevono la tessera elettorale a casa in tempo e possono quindi recarsi direttamente a votare.
Anno | 1984 | 1988 | 1992 | 1996 | 2000 | 2004 | 2008 |
Affl.pot. | 53,1 | 50,2 | 55,2 | 49,0 | 50,4 | 56,2 | 58,3 |
Affl.eff. | 74,6 | 72,5 | 78,1 | 66,4 | 67,1 | 72,9 | 74,4 |
Tabella IV. Affluenze percentuali, potenziale ed effettiva, nelle primarie presidenziali dal 1984 ad oggi. La fonte usata per i calcoli è [DR1].
In genere, l’affluenza alle primarie presidenziali oscilla tra il 30% e il 40% degli elettori del partito. Chiamiamo questa quantità “affluenza relativa alle primarie”. Essa è il rapporto tra il numero di persone che si recano a votare alle primarie del partito e il numero di elettori che votano il partito alle elezioni generali successive. Nel calcolo di questa quantità, gli stati che usano il sistema caucus-convention possono essere inclusi o meno. Escludendoli si ottiene una stima più omogenea, perché notoriamente l’affluenza ai caucus è molto più ridotta di quella alle primarie, visto che i caucus richiedono agli elettori un impegno maggiore che andare semplicemente a votare. Tuttavia, lo scorporo degli stati che usano i caucus è complicato, perché cambiano da una tornata elettorale all’altra, e in una stessa tornata uno stato può adottare i caucus per un partito e le primarie per l’altro, oppure sia i caucus che le primarie, per uno o per entrambi i partiti. Infine, gli stati che adottano i caucus in tutto o in parte sono pochi, ma non necessariamente piccoli (alle volte includono il Texas). D’altra parte si può obiettare che una misura veritiera della partecipazione degli elettori americani al governo dei loro partiti può essere ottenuta solo trattando i caucus come normali primarie, osservando che altrimenti si dovrebbero distinguere anche le primarie aperte da quelle semiaperte e quelle chiuse. La differenza tra i risultati ottenuti con i diversi sistemi di calcolo può essere di qualche punto percentuale.
Anno | 1992 | 1996 | 2000 | 2004 | 2008 |
Democratici | 44,9 | * | 27,5 | 28 | 53,5 |
Repubblicani | * | 38,4 | 38,7 | 12,9* | 34,4 |
Tabella V. Affluenze relative percentuali alle primarie e ai caucus presidenziali dal 1984 ad oggi. Sono ottenute combinando l’affluenza alle primarie e ai caucus ricavata da [DR1] (per il 1992 e il 1996 ) e [S13] (per gli anni 2000-2012) con all’affluenza alle elezioni generali ricavata da [DR1]. L’asterisco segnala le primarie che avevano come candidato il presidente uscente.
Per esempio, escludendo gli stati che usarono i caucus, e combinando i dati forniti da TheGreenPapers.com sulle elezioni primarie con i dati forniti da Dave Leip sulle elezioni generali, otteniamo che nel 2000 l’affluenza relativa fu il 30,6% presso i democratici e il 41,5% presso i repubblicani. Nel 2004 l’affluenza relativa dei democratici fu il 32,4%. Misurare la partecipazione alle primarie repubblicane del 2004 è meno significativo, per la mancanza di veri oppositori al presidente uscente Bush. Trattando invece caucus e primarie alla stessa stregua, otteniamo la tabella V.
Spiegabilmente, le primarie nelle quali si candida il presidente in carica hanno un’affluenza relativa molto più bassa del normale. Le primarie più combattute della storia, quelle democratiche del 2008, sono anche quelle che hanno battuto ogni record di affluenza relativa, superando il 53%. In generale, un’affluenza relativa tipica tra il 30% e il 40% è di per sé ragguardevole, ma acquista un significato ancora maggiore se si tiene conto che le primarie presidenziali americane sono sequenzializzate e distribuite nell’arco di più mesi. Ogni stato può fissare la data delle proprie consultazioni autonomamente, all’interno della finestra temporale stabilita dalle regole nazionali del partito. Il risultato è che stati o gruppi di stati diversi votano a distanza di giorni, una settimana o più. Questo meccanismo favorisce la partecipazione alle prime primarie della stagione, che acquistano una grande risonanza sui media, ma riduce la partecipazione alle ultime. Nell’ultima parte della stagione delle primarie, quando il nome del candidato che si aggiudicherà la nomina è praticamente certo, il voto riscuote un interesse minore presso il grosso dell’elettorato, anche se continua ad esercitare un’attrazione notevole tra i militanti e i sostenitori più affezionati. Alcuni aspetti, però, contribuiscono a controbilanciare parzialmente la riduzione della partecipazione dovuta alla sequenzializzazione, e a mantenere l’affluenza su livelli ragguardevoli. Il primo motivo è che le primarie non servono solo a determinare il candidato alla nomina, ma anche ad eleggere i delegati, che hanno compiti importanti, come stabilire le regole del partito e il programma politico-elettorarle. Infatti, le minoranze e i gruppi sociali più motivati partecipano a tutte le primarie della stagione pressoché in egual misura. Il secondo motivo è che le ultime primarie si trasformano praticamente in plebisciti a favore dell’ormai certo vincitore: il voto serve a rafforzarne l’investitura popolare in vista delle elezioni generali. Questo basta a motivare molti elettori, che si recano volentieri a votare per manifestare sostegno al candidato del proprio partito e rafforzarlo. Nel 2004, per esempio, le primarie democratiche del New Hampshire, le prime della stagione, tenutesi il 27 gennaio, registrarono un’affluenza relativa del 64,5%. La percentuale raggiunta nella Carolina del sud, che votava nel minimartedì (3 febbraio), fu del 44,4%, mentre la California, che votava nel supermartedì (2 marzo), arrivò al 46%. Tipicamente, il supermartedì è il momento più importante della stagione, per cui ci si aspetta un calo di partecipazione nelle primarie successive. Per esempio, in maggio nel Massachusetts votò il 34% degli elettori del partito e in giugno nel Nebraska il 28%. L’affluenza relativa si mantenne comunque su livelli ragguardevoli per tutta la stagione di primarie. Nel campione appena esaminato sono stati scelti tutti stati con primarie semiaperte, per rendere la comparazione più omogenea. L’andamento appena mostrato dell’affluenza relativa nel corso della stagione delle primarie è abbastanza tipico. A causa della competizione tra Obama e Clinton, le primarie democratiche del 2008 registrarono affluenze relative più alte del solito per tutta la stagione.