Il primo periodo di primarie presidenziali va dal 1912 al 1924 [21]. Le primarie raggiunsero il massimo successo nel 1916 e poi cominciarono a declinare. Tra il 1912 e il 1916 nove stati adottarono le primarie presidenziali. Tutte prevedevano il voto di preferenza per il candidato alla nomina, tranne quelle del New Hampshire, che prevedevano soltanto l’elezione diretta dei delegati. Il Texas approvò una legge sulle primarie presidenziali, che però fu dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema dello stato. Tra il 1916 e il 1924 soltanto l’Alabama approvò una legge sulle primarie presidenziali, ma anch’essa fu giudicata incostituzionale. Il Minnesota e l’Iowa abrogarono le proprie leggi dopo averle applicate una sola volta, il Vermont dopo due volte, il Montana dopo un referendum popolare. Nel Nebraska l’attacco alle primarie fu fermato da un referendum popolare, nel 1922. Altre azioni da parte delle forze conservatrici contro le primarie si registrarono in Indiana, New Jersey e in altri stati.
Nel 1916 20 stati tenero primarie presidenziali, tanto democratiche quanto repubblicane. Nel 1920 le primarie democratiche scesero a 16, mentre quelle repubblicane rimasero 20. Nel 1924 le primarie democratiche scesero ulteriormente a 14 e quelle repubblicane a 17. La percentuale di delegati alla convention eletti con le primarie oscillò tra il 33% democratico del 1912 e il 59% repubblicano del 1916. Superò il 50% in due altri casi: le primarie democratiche del 1916 (53,5%) e quelle repubblicane del 1920 (58%). Negli altri casi si attestò tra il 35% e il 40% [22].
Per misurare il grado di partecipazione alle primarie introduciamo la nozione di “affluenza relativa alle primarie” [23], che definiamo come la percentuale dei voti espressi nelle primarie del partito rispetto ai voti raccolti dal partito nelle elezioni generali corrispondenti. Considerando solo gli stati che tenevano le primarie e diffusero dati di cui abbiamo notizia certa, l’affluenza relativa raggiunse il massimo assoluto, pari al 70,3%, nelle primarie repubblicane del 1912, complice l’interesse suscitato dal duello fra Roosevelt e Taft. Di riflesso, anche l’affluenza relativa alle primarie democratiche raggiunse il massimo nel 1912, pari al 41,8%. Fatta eccezione per quell’anno particolare, nelle due tornate elettorali successive la partecipazione si stabilizzò su livelli più bassi di quelli odierni: l’affluenza relativa fu 37,2% e 22,6% nel 1916, e 38,9% e 21,0% nel 1920, per repubblicani e democratici, rispettivamente.
Ogni stato fissava, e fissa ancora oggi, la data delle proprie primarie autonomamente, con il risultato che le primarie presidenziali di stati diversi si svolgono generalmente in date diverse. Di conseguenza, le primarie presidenziali sono sequenzializzate in modo naturale su un arco temporale di diversi mesi. Nel periodo compreso tra il 1912 e il 1924 la stagione delle primarie copriva un periodo di circa tre mesi, compreso tipicamente tra una delle prime tre settimane di marzo e l’ultima settimana di maggio o la prima settimana di giugno. Le convention erano tenute nel mese di giugno.
Alcuni stati non potevano fissare le primarie nelle prime settimane dell’anno, per via del clima inclemente dei mesi invernali. D’altra parte, primarie troppo anticipate potevano cadere in un momento in cui la campagna elettorale non era ancora entrata nel vivo e i candidati più forti non erano ancora scesi in campo. Le primarie non potevano essere fissate troppo tardi, in estate, a ridosso della convention, perché i delegati eletti dovevano essere determinati con adeguato anticipo, in modo da permettere loro di organizzarsi materialmente per partecipare alla convention.
Dove le primarie presidenziali erano svolte contestualmente alle primarie locali, l’affluenza alle urne era più alta. La combinazione di primarie presidenziali e locali, spesso sulla stessa scheda elettorale, permetteva anche una notevole riduzione dei costi di organizzazione. In un certo numero di stati le primarie presidenziali erano svolte separatamente da ogni altro tipo di elezioni, con un conseguente raddoppio dei costi e un’affluenza alle urne relativamente più bassa.
Se si esclude l’eccezionalità degli eventi del 1912, in quella fase storica le primarie furono considerate più che altro delle beauty contest, cioè esibizioni di consenso e popolarità, utili ai candidati che godevano di scarso appoggio all’interno dei partiti, e magari erano in cerca di un’occasione di visibilità. Caucus, primarie e convention coesistevano, spesso conflittualmente. Le primarie non avevano un peso determinante, come abbiamo visto nel 1912. Nonostante la percentuale dei delegati eletti con le primarie fosse notevole, in alcune tornate elettorali superiore al 50%, l’elettore non aveva veramente la possibilità di esprimere la propria preferenza per il candidato alla nomina. Molti delegati non si impegnavano a sostenere alcun candidato. Inoltre, i vincoli che dovevano impegnare i delegati a mantenere fede all’impegno eventualmente preso erano spesso ambigui, o non esistevano affatto. I candidati non spendevano la maggior parte delle loro energie per ottenere il consenso degli elettori nelle consultazioni dirette. Molti di loro nemmeno vi partecipavano. Si davano soprattutto da fare per ottenere il favore dei boss che comandavano il partito. Nella seconda parte del primo periodo di primarie presidenziali queste lacune del sistema misto emersero con evidenza sempre maggiore.