La prima convention nazionale della storia fu tenuta dal partito antimassonico e segnò un passaggio di importanza capitale nella storia dei partiti americani. Alla fine del 1700 e all’inizio del 1800 la massoneria era molto diffusa negli Stati Uniti, e molto potente. La lista dei presidenti massoni comprendeva George Washington, James Monroe e Andrew Jackson, assieme a tanti altri personaggi importanti del periodo rivoluzionario e immediatamente successivo, ma non Thomas Jefferson. Diventare massoni era una via tipica per intraprendere la carriera politica. Per un certo tempo la massoneria godette di un’ottima reputazione e una certa immunità, anche grazie al prestigio delle personalità politiche espresse dalle logge. Benché diffuso, lo scetticismo dell’opinione pubblica verso le pratiche massoniche rimase latente per lungo tempo.
Tuttavia, man mano che emergevano contestazioni contro pratiche poco trasparenti come il caucus congressuale, e cresceva la domanda di maggiore democratizzazione, si diffuse anche la contestazione verso qualunque pratica poco chiara potesse interferire sulla vita politica, e le logge massoniche diventarono, a torto o a ragione, bersaglio naturale degli attacchi.
Nel 1826 William Morgan, un ex-massone di Batavia, nello stato di New York, che minacciava di scrivere un libro rivelando i segreti delle confraternite, scomparve misteriosamente. La scomparsa di Morgan scosse l’opinione pubblica. Tuttavia, il processo contro i presunti responsabili si arenò presto, perché i leader massonici si rifiutarono di collaborare alle indagini. Così i compagni massoni di Morgan, sospettati del delitto, riuscirono ad evitare ulteriori inchieste giudiziarie. In conseguenza di questi fatti l’ostilità del popolo contro la massoneria si scatenò. Le logge massoniche furono accusate di esercitare un’influenza indebita sulla politica, un potere occulto non sancito democraticamente, di favorire i propri adepti a discapito della trasparenza e della volontà popolare. Dopo il caso Morgan alcuni si spinsero persino ad accusare i massoni di uccidere impunemente i propri oppositori interni.
Nel 1828, sulla scia di questi eventi, nacque il partito antimassonico. Nonostante il nome, il nuovo partito non aveva come unico scopo la lotta alla massoneria, ma puntava a diventare un partito nazionale. Faceva appello all’uomo comune, si opponeva ai privilegi, alle tendenze elitarie ancora forti e a tutte le forme di segretezza. Come soluzione proponeva il ricorso al voto popolare in tutte le occasioni possibili. Tra il 1828 e il 1831 il partito si diffuse nel New England e nelle zone medioatlantiche. In molti luoghi rappresentava la principale opposizione ai jacksoniani. Conseguì alcuni buoni risultati elettorali locali e nazionali, tra cui due governatorati e 53 rappresentanti al Congresso. Alle elezioni presidenziali del 1832 ottenne il 7,8%2 del voto popolare, vincendo nel Vermont e conquistando 7 grandi elettori.
Il colpo inferto dal movimento antimassonico alla massoneria fu molto forte, tanto che le adesioni alle logge newyorkesi scesero dell’80% in dieci anni e tra il 1826 e il 1834 il numero di logge crollò del 90% [6]. Molti massoni secessionisti si unirono alla causa antimassonica. Il rapido declino della massoneria fu parallelo al declino dello stesso partito antimassonico, che vide sfumare uno dei motivi principali della sua battaglia politica. Nel 1833 il partito era già più debole, e nel 1834 contribuì, assieme al partito nazional-repubblicano e ad altri oppositori di Jackson, alla nascita del partito Whig.
Il partito antimassonico ebbe un ruolo molto importante non tanto perché combatté la massoneria, ma perché si inserì nella fase di superamento delle pratiche poco trasparenti usate fino ad allora per nominare i candidati, come il caucus congressuale, e contribuì ad indirizzare l’evoluzione dei partiti verso una maggiore apertura ed un maggior coinvolgimento degli elettori. Dal 1828 e nella prima metà degli anni 1830 il partito antimassonico diede un grande impulso alla diffusione del sistema delle convention, a tutti i livelli, come sistema di organizzazione partitica e di selezione dei candidati. Al partito antimassonico si deve anche la prima convention nazionale della storia, che ebbe luogo nel settembre del 1830, a Philadelphia, e riunì 96 delegati da 11 stati. Ciascuno stato aveva diritto a un numero di delegati uguale al numero dei suoi grandi elettori. La convention approvò un appello alla popolazione che aveva tutte le caratteristiche del moderno platform, il documento programmatico adottato dalle convention nazionali, che sancisce i valori guida del partito e le posizioni sui temi importanti della campagna elettorale, in pratica il programma elettorale. Nell’appello del 1830 [7] gli antimassonici denunciarono le pratiche delle logge massoniche, la loro segretezza e antidemocraticità, il pericolo che rappresentavano per la giovane democrazia americana. Si prefiggevano di “difendere i diritti, le leggi del paese e i tesori più sacri della libertà dalla terribile minaccia” massonica. Proponevano di abolire la massoneria, con metodi democratici, e di farlo in maniera che non potesse più riorganizzarsi. Affermavano che il metodo migliore e più sicuro per cacciare i massoni dalle cariche pubbliche era quello del voto. Rigettavano qualcunque sistema che non fosse quello del consenso, delle urne, delle schede elettorali, l’unico sistema che gli antimassonici consideravano moderato, sicuro, sufficiente. Invitavano i fratelli massoni ad abbandonare le logge e ad abbracciare la causa antimassonica in difesa degli interessi comuni.
Dopo aver sbrigato le questioni principali del partito, la convention nazionale del 1830 si aggiornò all’anno successivo, per nominare i candidati alla presidenza e alla vicepresidenza alle elezioni del 1832. La seconda convention antimassonica fu tenuta nel settembre 1831, a Baltimora, nel Maryland, e riunì 116 delegati da 13 stati. La maggioranza richiesta dagli antimassonici per nominare il candidato presidente era i tre quarti dei delegati, ma il candidato favorito, William Wirt, tra l’altro un ex-massone, fu nominato quasi unanimemente alla prima votazione. Oltre a nominare il candidato vicepresidente, la convention creò un comitato nazionale incaricato di organizzare la campagna elettorale e ribadì i contenuti del documento programmatico approvato l’anno prima.
La realizzazione di una convention nazionale, in un contesto di difficoltà di spostamento e comunicazione come quello della prima metà del 1800, rappresentò un enorme progresso. Il partito nazional-repubblicano riconobbe subito la validità del nuovo sistema per designare i candidati alla presidenza e tenne una convention nazionale nel dicembre del 1831, tre mesi dopo la seconda convention antimassonica. In mancanza di regole chiare per la selezione dei delegati, alcuni stati li fecero scegliere alle convention statali, altri ai caucus statali, altri ancora ai raduni di massa. Alla convention nazional-repubblicana parteciparono 168 delegati da 18 stati [8]. Il candidato alla presidenza nominato fu Henry Clay. In quell’occasione non fu approvato un vero documento programmatico, ma l’anno successivo i giovani nazional-repubblicani convocarono una convention nazionale propria nella quale approvarono un documento programmatico contenente proposte specifiche oltre che critiche all’amministrazione Jackson.
Nel 1832 anche i democratico-repubblicani convocarono una convention nazionale. La convention attribuì a ciascuno stato un numero di voti pari al numero dei suoi grandi elettori e adottò la regola dei due terzi, secondo la quale un candidato, per essere nominato, doveva ottenere i due terzi dei voti della convention. Le votazioni erano organizzate, come oggi, per delegazioni statali. Un membro di ciascuna delegazione riferiva all’assemblea i risultati della votazione della sua delegazione.
La convention nazionale democratica si riunì verso la fine di maggio. Il presidente uscente Jackson aveva già ricevuto l’investitura di un numero consistente di parlamenti statali, per cui non venne nominato formalmente dalla convention, che passò direttamente alla nomina del candidato vicepresidente. La convention non approvò alcun documento programmatico. Incaricò comitati statali di organizzare la campagna elettorale nei rispettivi stati.
Alle elezioni Jackson fu confermato presidente con ampio margine.
Come abbiamo visto, la validità del nuovo metodo di governo dei partiti fu riconosciuta subito da tutti. Da quel momento in poi la convention nazionale rimase per sempre l’autorità massima dei partiti americani. Non solo, ma la convention democratica del 1832 fu una pietra miliare nella storia americana, perché sancì la nascita del Partito Democratico. Infatti, poco tempo dopo la riconferma di Jackson alla presidenza, i democratico-repubblicani cominciarono a farsi chiamare semplicemente “democratici”, denominazione che conservarono per sempre. Da allora ogni 4 anni, senza soluzione di continuità, il Partito Democratico tenne una convention nazionale. Facendo i calcoli, la convention democratica del 2012 risulta essere la 46esima della storia.
Tra il 1828 e il 1860 i democratici ricoprirono la presidenza per 6 mandati su 9, e controllarono la Camera dei Rappresentanti per 24 anni e il Senato per 26 anni. Per contro, dopo la sconfitta del 1832 i nazional-repubblicani, poco organizzati, cessarono di esistere e i loro membri confluirono in gran parte nel nuovo partito anti-Jackson, i Whig, che nacque ufficialmente nel 1834 e ottenne la presidenza 3 volte, fino al 1952.
La convention nazionale fece fare un enorme progresso al processo di nomina dei candidati alla presidenza, che da allora in poi non fu più prerogativa dei membri del Congresso. Essa superò definitivamente “re caucus”, sempre circondato dal sospetto di intrighi e macchinazioni, depose le oligarchie autoinvestitesi del potere di nomina, rimosse gli ultimi residui di tendenze aristocratiche tipiche del primo periodo della repubblica, realizzò una più completa separazione del potere esecutivo dal potere legislativo. Infine, favorì la coesione dei partiti attorno ai candidati nominati, perché eliminava alla radice i numerosi motivi di recriminazione che accompagnavano le decisioni del caucus congressuale.
A causa delle difficoltà di comunicazione e le grandi distanze geografiche che separavano i vari stati dell’Unione, per quasi un centinaio d’anni la convention fu l’unica occasione nella quale i leader di partito provenienti da zone lontane potevano incontrarsi e interagire personalmente, conoscere i rispettivi punti di vista, valutare le posizioni di ciascuno, raggiungere compromessi per risolvere le divergenze. Essa consentiva un’ampia partecipazione alle attività del partito, non soggetta al controllo del Congresso. Nonostante una serie di perplessità e critiche iniziali, e alterne fortune successive, la convention resiste ancora oggi. Non fu mai approvata alcuna legislazione precisa in merito: la convention rimane un prodotto spontaneo della dialettica politica americana.