Nel 1789 si tennero le prime elezioni presidenziali degli Stati Uniti. I candidati non furono nominati in modo formale, perché i partiti non esistevano ancora e nemmeno le fazioni erano chiaramente definite. L’intero processo di nomina e di elezione si svolse all’interno del collegio dei grandi elettori.
Secondo la Costituzione, ciascuno stato sceglie, nella maniera che giudica più opportuna, un numero di grandi elettori uguale al numero di suoi rappresentanti e senatori al Congresso. I grandi elettori si riuniscono nei rispettivi stati e votano. I risultati sono trasmessi al presidente del Senato, che procede al conteggio, in presenza dei rappresentanti e dei senatori. L’insieme dei grandi elettori è chiamato “collegio elettorale”. Secondo la versione originaria della Costituzione, emendata nel giugno del 1804, ogni grande elettore aveva diritto ad esprimere due voti, per due persone diverse, con il vincolo che almeno una di esse provenisse da uno stato diverso da quello dell’elettore. Era eletto presidente il candidato che otteneva la maggioranza dei voti, purché fosse anche la maggioranza assoluta del collegio elettorale. Era eletto vicepresidente il secondo classificato.
Nel 1789 in cinque stati i grandi elettori furono scelti dai parlamenti statali, senza alcuna forma di consultazione popolare, in quattro stati mediante elezioni, in due stati mediante una combinazione dei due metodi [2]. Due stati non ebbero diritto ad alcun grande elettore, perché non avevano ancora ratificato la Costituzione. Negli stati in cui si votò, il diritto di voto fu soggetto ad importanti restrizioni in base alla proprietà terriera.
George Washington, che godeva di un grande consenso presso l’opinione pubblica, fu eletto dai grandi elettori all’unanimità. John Adams fu eletto vicepresidente abbastanza facilmente, anche se il consenso di cui godeva non era altrettanto indiscusso.
Le prime fazioni si delinearono molto presto, durante la presidenza di Washington, ma non erano ancora dei partiti veri e propri. Negli anni che precedettero il 1797 se ne potevano distinguere principalmente due, una governativa, riunita attorno al segretario del tesoro Alexander Hamilton e al vicepresidente John Adams, e una di opposizione, riunita attorno al segretario di stato Thomas Jefferson e al rappresentante James Madison. La fazione di Hamilton e Adams era detta anche federalista e voleva un governo nazionale più forte che bilanciasse il potere degli stati. Riuniva coloro che si erano battuti per scrivere e ratificare la Costituzione del 1787, e superare così quegli “Articoli della Confederazione e Unione Perpetua”, che, ratificati nel 1781, avevano costituito il primo accordo tra i 13 stati fondatori e la prima Costituzione, dove gli Stati Uniti d’America erano definiti una “confederazione di stati sovrani”. I federalisti erano inclini a interpretare la Costituzione del 1787 in senso lato, in modo da ampliare i poteri del Congresso. Inoltre, si battevano per la modernizzazione e lo sviluppo delle industrie e del commercio, e rappresentavano principalmente gli interessi delle zone urbane. Strettamente parlando, il presidente Washington non può essere collocato in alcuna fazione o partito, ma alcuni studiosi lo includono tra i federalisti perché durante la sua presidenza i federalisti tennero posizioni filogovernative.
Gli oppositori al governo di Washington provenivano principalmente dalle fila del movimento che pochi anni prima si era opposto alla ratifica della Costituzione. Furono inizialmente chiamati dai loro avversari antifederalisti. Si battevano per i diritti individuali e la sovranità degli stati contro le prevaricazioni del governo federale, per un’interpretazione stretta della Costituzione che limitasse i poteri del Congresso. Temevano accentramenti di poteri nelle mani del presidente, perché secondo loro mettevano a rischio il futuro della repubblica e potevano portare al ritorno della monarchia. Contrari alle modernizzazioni di Hamilton, difendevano l’economia agricola delle piantagioni e delle fattorie, e rappresentavano principalmente gli interessi delle zone rurali dell’entroterra.
Dopo la ratifica della Costituzione la dialettica politica tra le due opposte fazioni produsse un risultato di importanza capitale per la storia degli Stati Uniti: i primi dieci emendamenti alla Costituzione stessa, che formano la cosiddetta Carta dei Diritti (Bill of Rights). Se la Costituzione fu una vittoria federalista, la Carta dei Diritti fu in un certo senso la rivincita antifederalista. Oggi i primi dieci emendamenti sono più citati della Costituzione stessa e spesso identificati con essa.
La Carta dei Diritti fu ratificata alla fine del 1791. Essa specificava limitazioni ai poteri del Congresso, difendeva i diritti individuali dei cittadini, come la libertà di espressione, di stampa, di associazione e di religione. Stabiliva il diritto di portare armi. Proibiva forme irragionevoli di perquisizione, confisca e punizione, la privazione della vita, della libertà e della proprietà al di fuori della legge, l’obbligo di autoincriminazione e il doppio giudizio per uno stesso reato. Garantiva il diritto ad un giusto processo, pubblico, di durata ragionevole, con una giuria imparziale.
È bene notare che, anche se la Carta dei Diritti limitava i poteri del Congresso, non aveva alcun effetto sui poteri degli stati. Essa difendeva le libertà individuali da possibili prevaricazioni del governo federale, ma non dalle assai più frequenti prevaricazioni dei governi statali, che proseguirono per decenni. Pertanto, la Carta non rappresentava la conquista dei diritti individuali in quanto tali, ma pose comunque le basi per quella conquista, e ne fu l’ispirazione. Parecchio tempo fu necessario affinché anche le costituzioni statali fossero emendate nella direzione tracciata dal “Bill of Rights”.
I federalisti controllarono il Congresso fino al 1800. Jefferson e Madison, che organizzarono le fazioni di opposizione al Congresso, cominciarono a farsi chiamare “repubblicani” a partire dal 1792. I repubblicani di Jefferson non hanno legami col Partito Repubblicano moderno, che nacque molto più tardi. Per distinguerli, molti studiosi chiamano i jeffersoniani “democratico-repubblicani”, una denominazione che storicamente fu usata solo da alcuni gruppi locali di sostenitori di Jefferson.
Nelle elezioni del 1792 Washington fu facilmente confermato presidente, perché entrambe le fazioni erano favorevoli. Esse però si divisero sul nome del candidato alla vicepresidenza. I federalisti sostenevano ancora John Adams, ma i repubblicani erano orientati a cercare un candidato alternativo. Per identificarlo, un gruppo di leader repubblicani si riunì a Philadeplhia nell’ottobre di quell’anno. La scelta ricadde sul governatore dello stato di New York George Clinton. Quella riunione di repubblicani fu il primo esempio di riunione tra leader politici per la designazione di un candidato, cioè un caucus. Si può dire che diede ufficialmente inizio alla storia del processo di nomina dei candidati negli Stati Uniti.
Washington fu rieletto presidente all’unanimità, mentre Adams fu confermato vicepresidente con 77 voti e Clinton se ne aggiudicò 55. La competizione per la vicepresidenza fu la prova che ormai stavano nascendo i partiti.