1976: la vittoria di uno “sconosciuto”

La campagna democratica del 1976 fu quella che cristallizzò gli aspetti essenziali del nuovo processo di nomina dei candidati e di selezione dei delegati. Dopo la riscrittura completa delle regole, i candidati non conoscevano ancora le strategie migliori e non sapevano come sfruttare al meglio le nuove opportunità. Un politico ancora poco noto, Jimmy Carter, coadiuvato da assistenti molto capaci, capì per primo le potenzialità del nuovo sistema e dimostrò di sapersi adattare meglio degli altri alle nuove regole per sfruttarle a proprio vantaggio, cogliendo gli avversari di sorpresa [51].

Carter terminò il suo mandato di governatore della Georgia nel 1974. A quel tempo la sua notorietà fuori dello stato natale era molto scarsa. Tuttavia, nell’anno successivo Carter, praticamente disoccupato, ebbe modo e tempo di mettere a punto un’ottima strategia, avvalendosi di collaboratori molto brillanti, in particolare il giovane Hamilton Jordan, che sintetizzò le sue idee in un rimarchevole promemoria [52].

Jordan capì che gli stati in cui si tenevano i primi caucus e le prime primarie della stagione erano più importanti degli altri, e occorreva investire il massimo delle energie in quelli, che erano destinati a ricevere molta più attenzione da parte dei media, accendere l’interesse dei leader politici e degli osservatori, eccitare le masse e il grande pubblico. Per Jordan il fatto che in quelle consultazioni fossero assegnati pochi delegati era di secondaria importanza.

La prima consultazione popolare della stagione era il caucus dell’Iowa. Era prevista per la seconda metà di gennaio, circa un mese prima delle primarie del New Hampshire, che erano le prime primarie della stagione. Prima del 1976 l’importanza del caucus dell’Iowa era stata sottovalutata, perché si trattava appunto di un caucus. Era ancora diffusa la sensazione che il caucus fosse poco aperto agli elettori e soggetto al controllo partitico. Tuttavia, le riforme avevano di fatto superato queste difficoltà e reso i caucus e le primarie ugualmente aperti e rappresentativi della volontà popolare. Carter e i suoi collaboratori furono i primi a capire l’importanza di quei caucus.

La seconda osservazione di Jordan fu che poiché l’Iowa e il New Hampshire erano relativamente piccoli e non troppo popolosi, con una spesa e uno sforzo contenuti un candidato aveva la possibilità materiale di percorrere quegli stati in lungo e in largo, incontrare la gente e coltivarne l’appoggio, passarci parecchio tempo e farvi campagna elettorale personalmente.

Il terzo punto era che il candidato doveva annunciare la propria candidatura alla presidenza con grande anticipo, per poter dedicare il tempo necessario a quei due stati. Carter entrò in gara ufficialmente il 12 dicembre 1974, praticamente due anni prima delle elezioni generali. Due dei suoi avversari più forti annunciarono la loro candidatura nel tardo 1975 e altri due aspettarono fino a marzo 1976, due mesi dopo il caucus dell’Iowa.

Infine, Jordan scoprì una proprietà-chiave delle primarie sequenziali, cioè l’“effetto-risonanza” dei successi iniziali sulle primarie successive. L’auspicio era che due vittorie nette nell’Iowa e nel New Hampshire dessero a Carter un impulso sufficiente a salire nei sondaggi, mettersi al centro dell’attenzione dei media, raccogliere soldi e sostegno popolare a sufficienza, in modo da affrontare il resto della stagione sulla cresta dell’onda e restarvi fino alla fine.

I collaboratori di Carter ritenevano che la bassa popolarità del loro candidato e i sondaggi, che non sembravano dargli alcuna speranza, fossero in realtà elementi poco rilevanti nel contesto della strategia elaborata da Jordan. Nessuno degli altri candidati più quotati adottò una strategia comparabile. Molti di loro riconobbero l’importanza dell’Iowa quando fu ormai troppo tardi per fare una propaganda efficace che potesse intaccare la massiccia campagna elettorale messa in moto per tempo da Carter in quello stato.

Poco prima del caucus dell’Iowa, i sondaggi attribuivano a Carter un misero 4%. Carter vinse nell’Iowa col 28%, anche se la maggioranza dei voti, il 37%, andò alla lista dei delegati non-impegnati [53]. Poi vinse nel New Hampshire ancora col 28%, ma in quel caso non ci furono delegati non-impegnati e il primo posto di Carter era “vero”. Dopo quel successo il Time e Newsweek dedicarono a Carter le rispettive copertine e nei sondaggi il consenso salì al 16% [54]. Successivamente Carter fu fermato nel Massachusetts, dove si classificò quarto, ma vinse nel Vermont e poi in Florida, e i sondaggi lo videro salire al 26%. Carter vinse altre 7 primarie consecutive, fino all’inizio di maggio. Per un certo periodo i sondaggi rimasero stabili attorno al 29%, ma a fine aprile balzarono al 40%. Molte persone, come i rappresentanti democratici eletti più influenti (governatori, senatori, deputati, ecc.) e i gruppi di attivisti vicini al Partito Democratico (sindacati, ambientalisti, femministe, intellettuali “liberal”) si accorsero di Carter soltanto allora. Carter perse tre primarie di fila prima di tornare a vincere. Il resto della stagione fu più equilibrato, ma ormai gli avversari di Carter potevano fare ben poco per fermarlo. Dopo la conclusione delle primarie, una valanga di riallineamenti e investiture a favore di Carter, da parte dei leader del partito e degli altri candidati che si erano cimentati nelle primarie, consacrò di fatto la nomina di Carter un mese prima della convention.

Il meccanismo delle primarie moderne funzionò nel modo previsto, con trasparenza e togliendo alimento ad ogni possibile contestazione. La convention democratica del 1976 fu la più tranquilla da dodici anni, segno che ormai le nuove regole erano state assimilate e condivise. Non fu contestata alcuna delegazione e la votazione per la nomina, al terzo giorno, fu una mera formalità.

Le primarie repubblicane del 1976 furono molto combattute. Il presidente uscente Gerald Ford, subentrato a Nixon dopo lo scandalo Watergate, fu sfidato da Ronald Reagan. Nonostante fosse il presidente in carica, Ford era (ed è ancora oggi) l’unico presidente della storia diventato tale per nomina e non per elezione. Infatti, il ticket repubblicano che aveva vinto le elezioni del 1972 non comprendeva Ford, ma Richard Nixon e Spiro Agnew. Dopo le dimissioni di Agnew, Ford gli era subentrato come vicepresidente, su nomina di Nixon. Dopo le dimissioni di Nixon, provocate dallo sandalo Watergate, Ford era subentrato a Nixon come presidente. Pertanto, Ford non aveva mai ottenuto la nomina del Partito Repubblicano, nemmeno come candidato vicepresidente, e non fu mai eletto dal popolo. Reagan pensò che batterlo fosse un traguardo alla sua portata. Ormai il numero di stati che tenevano le primarie era sufficientemente alto da permettere agli outsider di competere con buone possibilità di affermazione.

In totale, Reagan vinse le primarie di 10 stati, inclusa la California, suo stato natale, mentre Ford vinse in 16 stati. Reagan si aggiudicò il 46% del voto popolare, Ford il 53%.

La convention repubblicana non fu priva di contrapposizioni e strategie messe in atto per fermare l’avversario. Molti delegati repubblicani non erano impegnati a sostenere alcun candidato alla nomina (cioè erano dei “superdelegati”). Questo tipo di delegati fu introdotto dai democratici solo successivamente, e in percentuale minore. Sia i sostenitori di Reagan sia quelli di Ford si diedero da fare per corteggiare i delegati in bilico. Ford fece valere la sua posizione di presidente in carica e alla fine ottenne la nomina con i voti di 1187 delegati contro i 1070 di Reagan. Quella repubblicana del 1976 fu l’ultima convention dei partiti maggiori con il risultato finale in dubbio.

Alle elezioni generali Carter prevalse su Ford dopo un testa a testa.

Dal 1976 in poi, proprio in virtù dell’exploit di Carter, anche il caucus dell’Iowa diventò un test chiave, assieme alle primarie del New Hampshire, per sondare le possibilità dei candidati di ottenere la nomina. Queste due consultazioni oggi fungono da filtro, che promuove i candidati forti e condanna quelli deboli. Con buona approssimazione i candidati che hanno probabilità di vincere la nomina sono i primi tre classificati di entrambe. Di solito gli altri abbandonano poco dopo.

Oggi i candidati conoscono il meccanismo delle primarie molto bene e sanno gestire la campagna elettorale al meglio. Sanno come comportarsi per annullare i vantaggi degli avversari nei loro confronti. Nessuno si fa più prendere in contropiede. La strategia di Carter fece scuola, divenne il modello da seguire. Dal 1976 tutti i candidati applicano tecniche simili. Annunciano la propria candidatura con adeguato anticipo, per avere il tempo di organizzarsi e fare una campagna elettorale efficace. Partecipano a tutti i caucus e a tutte le primarie, frequentano per tempo e con assiduità gli stati-chiave, sviluppano relazioni e contatti con le associazioni locali e i cittadini. Nessuno si sogna più di trascurare il caucus dell’Iowa o scendere in campo a primarie iniziate. Concentrando la maggior parte degli sforzi nella fase iniziale, sperano di ottenere un risultato a sorpresa che li faccia uscire dall’anonimato, e che poi generi un effetto-risonanza capace di sostenerli fino alla fine. Si recano in Iowa e in New Hampshire parecchie volte. Vi fanno campagna elettorale personalmente. Anche le tecniche per raccogliere i finanziamenti fanno ormai parte del bagaglio di conoscenze comune a tutti i candidati.

La campagna elettorale del 1976 fornì ad analisti, giornalisti, studiosi e osservatori paradigmi e criteri importanti per giudicare tutte le campagne elettorali successive. Da allora, durante ogni campagna per la nomina abbondano i dibattivi televisivi e gli articoli di giornale in cui i commentatori si confrontano per capire quale candidato goda del maggior effetto-risonanza e quanto gli possa giovare nelle primarie successive.

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