1912: il duello tra Roosevelt e Taft

La prima fase della storia delle primarie presidenziali attraversò momenti drammatici nel 1912. Il Partito Repubblicano fu dilaniato da uno scrontro feroce tra coloro che volevano le primarie e coloro che si battevano contro. è utile ripercorrere quegli eventi con un certo dettaglio, perché ci permettono di apprezzare il funzionamento dei partiti e della convention in quel periodo storico [16].

Una delle figure più importati del movimento progressista fu Theodore Roosevelt, già presidente repubblicano dal 1901 al 1908. Nel 1908 Roosevelt, come molti suoi predecessori, scelse di non correre per un terzo mandato, per non rompere la tradizione inaugurata più di un secolo prima da Washington e Jefferson, e indicò William H. Taft quale suo successore. Taft effettivamente ottenne la nomina repubblicana e poi vinse le elezioni.

Roosevelt partì per l’Africa e l’Europa. Quando tornò negli Stati Uniti, l’anno seguente, trovò un partito diviso, in preda agli scontri tra fazioni opposte. Il movimento progressista era in fibrillazione, perché il partito respingeva sistematicamente, o accoglieva con totale indifferenza, tutte le proposte progressite, viste come seria minaccia al potere dei boss. Molti amici di vecchia data si rivolsero a Roosevelt per chiedergli di rientrare sulla scena politica e battersi per le idee in cui aveva sempre creduto, tra cui le primarie dirette. Roosevelt esitò per un po’, poi si convinse.

In un discorso del 1910 nel Kansas, Roosevelt disse [17]: “A più riprese nell’avanzamento dell’umanità questo conflitto tra gli uomini che possiedono più di quanto si siano guadagnati e gli uomini che si sono guadagnati più di quanto possiedano è la condizione centrale del progresso. Al giorno d’oggi sembra la lotta degli uomini liberi per ottenere e mantenere il diritto all’autogoverno contro gli interessi particolari, che trasformano i metodi del libero governo in macchinazioni per sconfiggere la volontà popolare. Ad ogni livello e in tutte le circostanze, l’essenza di questa lotta è quella di uguagliare le opportunità, distruggere il privilegio e dare alla vita e alla cittadinanza di ogni individuo il più alto valore possibile, sia a lui che al bene comune.” Quel discorso diventò il programma di una nuova lotta politica.

Verso la fine del suo mandato, nel 1911 e nel 1912, Taft perse gran parte del consenso popolare di cui godeva. Per contro, la rivolta interna progressista si estese. I progressisti non perdevano occasione di rimarcare che il partito vinceva solo dove presentava candidati della loro corrente, mentre negli altri casi avevano la meglio i democratici.

Inizialmente Roosevelt non aveva intenzione di candidarsi contro Taft, di cui era stato amico per molto tempo. Dal canto loro, i democratici si apprestavano a candidare Woodrow Wilson, il loro candidato più forte, e speravano che repubblicani puntassero su Taft, convinti che Wilson avesse buone possibilità di batterlo.

I governatori repubblicani di sette stati si unirono in un appello per chiedere a Roosevelt di correre per la nomina, sostenendo che la maggioranza dei repubblicani volevano che si candidasse, e la maggioranza degli elettori lo volevano presidente per la terza volta. Roosevelt sapeva che Taft controllava la macchina del partito e quindi gli sarebbe stato molto difficile ottenere la nomina. L’unica possibilità era quella di appellarsi direttamente al popolo, mediante le primarie. Nel febbraio del 1912 Roosevelt rispose positivamente all’appello dei governatori, annunciando la propria candidatura alla nomina repubblicana. Auspicò che ovunque possibile si desse al popolo la possibilità di scegliere il candidato presidente mediante primarie dirette. L’annuncio scatenò gli avversari di Roosevelt, che lo accusarono di ambizione personale, perché non manteneva fede alla promessa di non ricandidarsi, fatta in precedenza, e di tradire gli esempi di Washington e Jefferson, che avevano rinunciato a correre al terzo mandato presidenziale.

Nel frattempo, quasi tutti gli stati progressisti si erano dotati di leggi sulle primarie dirette. Nel 1912 il Partito Repubblicano tenne le primarie in 13 stati e il Partito Democratico in 12. I principali candidati repubblicani furono tre, perché a Roosevelt e Taft si aggiunse anche La Follette, che era sceso in campo come candidato progressista ancora prima di Roosevelt. Roosevelt vinse 9 primarie e ottenne più voti di Taft in 11 primarie [18]. La Follette vinse le prime due primarie, quelle del Dakota del nord e del Wisconsin. Il Wisconsin, stato di provenienza di La Follette, riversò tutti i consensi progressisti sul suo candidato, che raccolse il 73% dei voti, lasciando a Roosevelt soltanto lo 0,3%, mentre Taft raccolse i voti conservatori, pari al 26%. La candidatura di La Follette perse però slancio abbastanza presto e nelle rimanenti primarie Roosevelt prevalse sempre su La Follette e quasi sempre su Taft. In California, nel Dakota del sud, in Illinois e nel Nebraska Roosevelt staccò Taft di più del 25%. In New Jersey, Maryland, Oregon e Ohio vinse con 5-15 punti di scarto, in Pennsylvania con 20. Solo nel Massachusetts perse di poco contro Taft. I repubblicani tennero primarie anche nello stato di New York, ma i dati di quella consultazione non sono disponibili. Per quanto riguarda il voto popolare, in totale Roosevelt ottenne il 51,5% contro il 34% di Taft e il 14,5% di La Follette. Dei 362 delegati così assegnati, Roosevelt ne ottenne 278, Taft 48 e La Follette 36.

Per effetto delle legislazioni approvate negli stati guidati dai progressisti, nel 1912 anche i democratici sperimentarono le primarie presidenziali, negli stessi stati dei repubblicani tranne New York. La nomina democratica fu contesa tra Woodrow Wilson, governatore del New Jersey, e Champ Clark, presidente della Camera. Nelle primarie i due candidati raccolsero, rispettivamente, il 44,6% e 41,6% dei voti. Una delegazione contestata, quella del Sud Dakota, fu assegnata a Wilson. La convention democratica visse vicende alterne. Clark prevalse nelle prime votazioni, dove ottenne la maggioranza assoluta, ma non i due terzi dei voti necessari per la nomina. Successivamente Wilson riprese quota e Clark declinò, finché la nomina andò Wilson, dopo il ritiro di Clark, alla 46esima votazione [19].

Alla convention repubblicana di Chicago parteciparono 1078 delegati. I delegati eletti direttamente dal popolo erano 362. Gli altri, quindi la maggioranza, erano stati scelti indirettamente con il sistema caucus-convention, che permetteva ai capi-partito locali di esercitare un controllo capillare in grado di influenzare il risultato. In qualità di presidente in carica, nei quattro anni precedenti Taft aveva avuto modo di stringere rapporti ed alleanze con quasi tutti i leader locali. Roosevelt godeva dell’appoggio dei delegati che provenivano dagli stati in cui i repubblicani erano forti, mentre Taft era appoggiato dai delegati che provenivano dagli stati in cui i repubblicani erano deboli. In particolare, quasi tutti i 216 delegati provenienti dagli stati ex-confederati stavano dalla parte di Taft. Ricordiamo che il numero di delegati che spettavano ad uno stato non era ancora stabilito tenendo conto della forza del partito in quello stato, ma era fissato soltanto in base al numero dei grandi elettori dello stato. Pertanto, i delegati provenienti dagli stati del sud, dove il Partito Repubblicano era molto debole, erano numerosi e poco rappresentativi, dunque ancora più facilmente soggetti al controllo dei capi-partito locali, che rispondevano a Taft.

I seggi contestati furono 254. A seconda di come sarebbero stati assegnati ai due contendenti, i delegati contestati potevano ribaltare il risultato della convention. Il comitato nazionale repubblicano, che decideva la composizione temporanea della convention, era stato eletto dalla convention precedente, quando Taft era leader indiscusso, sostenuto proprio da Roosevelt. La maggioranza dei delegati che sedevano nel comitato era di 37 su 53 a favore di Taft. La battaglia sui seggi contestati fu intensa e durò alcuni giorni, tuttavia per Roosevelt non ci fu nulla da fare: 235 delegati contestati furono attribuiti a Taft, e soltanto 19 a Roosevelt.

Nel frattempo, tra le file dei progressisti cresceva la domanda di formare un nuovo partito, ispirato ai principi progressisti, senza equivoci, né compromessi, sotto la guida di Roosevelt. Le forze di Taft resistettero alle ripetute richieste di rinnovare la composizione della convention repubblicana, avanzate dai delegati progressisti. A quel punto i delegati progressisti annunciarono di non voler più partecipare ai lavori. Rimasero nella convention, ma non parteciparono al voto. Taft fu nominato alla prima votazione con 556 voti, contro i 107 di Roosevelt e i 41 per La Follette. Ci furono ben 348 presenti non votanti.

Il giorno dopo la chiusura della convention repubblicana, molti delegati progressisti si riunirono in assemblea. Roosevelt chiese di organizzare una convention che nominasse un candidato progressista e adottasse un documento programmatico progressista, e si dichiarò disponibile a guidare il nuovo partito se chiamato a farlo dalla nuova convention. In un’atmosfera di entusiasmo spontaneo si consumò così la rottura con il Partito Repubblicano, che diede vita al partito progressista. Il nuovo partito fu soprannominato “alce” (bull moose, lett.: “alce maschio”), perché ai cronisti che gli chiedevano se fosse abbastanza in forma per candidarsi per un terzo mandato presidenziale, Roosevelt rispose di sentirsi “in forma come un’alce”. La convention nazionale del partito progressista si riunì nell’agosto del 1912. Era composta di circa duemila delegati, molti dei quali donne. Roosevelt tenne un lungo discorso che intitolò “confessione di fede”, nel quale parlò delle riforme progressiste. Il documento programmatico della convention fu intitolato “contratto con il popolo”. La convention nominò Roosevelt ufficialmente.

Il primo punto del documento programmatico progressista riguardava le riforme politiche. Includeva le primarie dirette per i candidati statali e nazionali, primarie nazionali per i candidati alla presidenza, l’elezione diretta dei senatori, la legge di iniziativa popolare, il referendum e il “recall”, una semplificazione delle procedure per emendare la Costituzione, e il suffragio femminile. Gli altri punti del documento contenevano proposte di giustizia sociale, a riprova della sensibilità dei progressisti verso questi temi, come l’abolizione del lavoro infantile, il salario minimo, la giornata di lavoro di otto ore, il risarcimento per gli incidenti sul lavoro [20].

Alle elezioni generali, forte dell’investitura popolare ottenuta nelle primarie repubblicane, Roosevelt, dopo essere sopravvissuto ad un attentato, conquistò più stati di Taft, sei contro due, per un totale di 88 grandi elettori contro 8. Inevitabilmente, la divisione del Partito Repubblicano favorì la vittoria del candidato democratico. Per la prima, e finora unica, volta nella storia degli Stati Uniti il candidato di un partito maggiore alle elezioni presidenziali non si classificò tra i primi due. Roosevelt si aggiudicò il 27% del voto popolare, contro il 23% di Taft. La somma dei voti raccolti da Roosevelt e Taft fu superiore al numero dei voti raccolti da Wilson, 7,6 milioni contro 6,3. Quella di Roosevelt fu chiamata da Harold Howland, autore di una cronaca del movimento progressista pubblicata nel 1921, la “gloriosa sconfitta”. Wilson fu l’unico presidente democratico che interruppe un ciclo di vittorie repubblicane esteso su un arco di 36 anni.

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